Se il livello di preparazione teologica di base del laicato italiano è in parte imbarazzante, smettiamo di pensare solo a “come” comunicare, ma proviamo ad aprire qualche libro...
È necessario ritornare a pensare la formazione anche a livello teologico. Il presupposto (spesso inconsapevole) che abbiamo richiamato (qui) per cui sarebbe più importante curare la relazione rispetto ai tanti contenuti, più o meno complicati, di cui parla la fede, è assolutamente deleterio. Il principio dialogico-personalistico a partire dal quale la costituzione Dei Verbum ha riletto la rivelazione cristiana ci dice come la relazione umana sia al cuore della teologia, in quanto la verità del Vangelo si è manifestata nella storia di un uomo, Gesù, per dare senso alla vita e alla storia di ogni uomo e ogni donna, in ogni tempo, in ogni luogo. Lo studio, quindi, della teologia non può prescindere dal proprio destinatario, dall’umanità cui Dio ha voluto rivolgersi e che proprio per questo è direttamente chiamata in causa. Tutto questo, d’altra parte, non è qualcosa di immediatamente evidente. Il nostro passato – potremmo dire, forse, dal concilio di Trento – è segnato da una cultura che ha relegato la teologia nei seminari, come affare privato della vita clericale, sequestrando così la bellezza e la profondità del Vangelo, e riducendola a sua volta a dettami, dogmi e indicazioni moralistiche rivolte “a quelli fuori” dai seminari. Il modello della chiesa gerarchica, clericale, che si rivolge al “povero” laicato ignorante e bisognoso di “istruzioni per l’uso” ...
L'intera riflessione di Stefano Fernaroli alla seconda puntata (vedi qui) continua a questo link:
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