La situazione dei poveri dichiarati beati non ha alcuna attinenza con la mancanza di mezzi di sostentamento, ma sono coloro che vivono nello/secondo lo Spirito, secondo la volontà di Dio; questi sono i suoi poveri, gli anawim perché docili nella sua sequela.
Festa di tutti i Santi. Ma se ogni volta che proclamiamo il “Gloria”, meditando sulla figura di Gesù, affermiamo solennemente che “Tu solo sei santo, tu solo il Signore, nella gloria di Dio Padre”, perché oggi ne festeggiamo “una moltitudine immensa”? Il Santo è uno solo o sono una moltitudine? È forse una contraddizione?
Certo, nella Scrittura uno solo è chiamato il Santo ed è Dio ma è anche vero che in Levitico 19,2 il Signore chiede a Mosè di parlare a tutta l’assemblea dei figli di Israele così: “Siate santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo”.
L’essere santi allora è una chiamata, è un invito rivolto a tutto il popolo dei credenti. Per questo S. Paolo, nelle sue lettere, si rivolge sempre “ai santi” delle diverse comunità alle quali scrive.
Oggi nell’Evangelo di Matteo c’è continuo e martellante ripetersi della parola “beati” che può generare anche fastidio, perché la realtà della vita facilmente è più fatica che esperienza di serenità.
Però il suo incipit afferma che Gesù vede le folle, comprende il loro bisogno, quindi quello che dice è legato alla situazione reale delle persone che sono ai suoi piedi, con le loro paure, le loro debolezze, incertezze, insicurezze, dubbi, errori. Le parole che pronuncia non sono rivolte solo a loro, ma perché questi le diffondano e arrivino a tutti, ovunque, fino anche a noi, fino alla fine dei giorni.
Ogni beatitudine che il Signore pronuncia ha un suo “perché” e, questa, si trova in quel suo sguardo che fiorisce nella sua azione di misericordia, che stende su tutta la storia, riscattando tutte le situazioni umane, anche quelle che ci possono apparire perdenti e impossibili.
“Beati i poveri in spirito” cioè sono beati coloro che vivono nello/secondo lo Spirito, secondo la volontà di Dio; questi sono i suoi poveri, gli anawim perché docili nella sua sequela.
Gli ‘anawîm sono l’immagine del vero discepolo che non si appoggia alla forza, al potere, alla ricchezza, non fa di queste cose il centro della sua vita, ma confida in Dio seguendo e facendo proprio il suo disegno di amore e di attenzione per il bisogno dell’altro.
I Salmisti spesso mettono in evidenza che il Signore “Guida i poveri (‘anawîm) secondo giustizia, insegna ai poveri (‘anawîm) la sua via” (Ps 25,9).
Gli ‘anawîm sono coloro che vengono giustificati, resi giusti da Dio per la loro fede, cioè per il loro modo di vivere che è una realtà ben concreta e non un astratto sentimento. Questi sono i poveri che realizzano e costituiscono già ora il “Regno dei cieli”; sono il popolo di Dio, quel «resto» fiducioso cantato dai profeti come la presenza costante, anche in mezzo alle turbolenze della storia, che testimoniano l’amore del Padre non a parole, ma dandone concretezza. Sono loro il seme fecondo della salvezza nel terreno delle vicende umane e san Paolo li vede incarnati nella figura di Cristo: «da ricco che era, egli si è fatto povero per noi, perché divenissimo ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9) seguendo il suo esempio fino a poter dire con Paolo: “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20)
La povertà dichiarata beata allora perde ogni attinenza con la mancanza di mezzi di sostentamento. Assume invece spessore in quel “Regno dei Cieli” che, come ha insistito molto Gesù, siamo chiamati a vivere già nel nostro presente coscienti che, il seguirlo, il fare come lui ha fatto facilmente porterà, come è accaduto a lui, a ricevere insulti, persecuzioni, menzogne. I poveri secondo lo Spirito quando si troveranno a piangere si scopriranno consolati; se avranno fame e sete di giustizia e saranno saziati. L’essere e l’agire secondo la volontà del Padre porta poi ad essere dei miti operatori di pace e la misericordia sarà il loro operare perché sono puri di cuore, cioè hanno il cuore secondo Dio sgombro da ogni avidità personale.
Ecco allora il perché che il verbo essere della prima e delle ultime due beatitudini è al presente e queste terminano con un invito a non rattristarsi per le sofferenze ed i soprusi bensì a rallegrarsi ed esultare perché – ed è una affermazione solenne - grande è la vostra ricompensa nei cieli.
(BiGio)
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