Lo sposo dice: «In verità io vi dico: non vi conosco». È la constatazione di ciò che è mancato a queste ragazze: il rapporto con lo sposo. Non è l'infedeltà di un momento, di quella notte, ma l'infedeltà di una vita, tanto che lo sposo proprio non le conosce.
Dieci vergini «uscirono incontro allo sposo», portando le loro lampade accese (evidentemente è già buio) e attendono la venuta del Signore. Così esprimono, in una sola immagine, la missione della Chiesa nella storia. Essa è chiamata ad uscire dai comodi ma asfittici recinti religiosi; ad andare nel mondo, ottenebrato dalla guerra e dal rifiuto dell'umano, con la luce evangelica dell'ascolto e dell'accoglienza dell'altro, della riconciliazione e della pacificazione; a cercare il Signore dentro le pieghe tragiche dell'uomo ferito e oppresso, perché questa sua situazione è un appello all'intervento di Dio; ad aspettare con costanza e pazienza la sua venuta, che sarà il Regno d'amore su questo mondo; e, nell'attesa, a custodire la riserva di luce che sono la fede, l'amore e la speranza.
È affascinante ed entusiasmante considerare che Gesù paragoni la sua venuta definitiva ad una festa di nozze. È proprio l'opposto della prospettiva di rovine e cataclismi: invece è esperienza di pienezza di umanità. Lui viene come uno sposo che corona il suo sogno di unione d'amore con la sua sposa: l'umanità. Dovremmo allora attenderlo con la passione che leggiamo nel Cantico dei cantici tra l'amato e l'amata. Il Signore verrà a sublimare l’umano che si è impregnato di divino: a far regnare l'amore, a dare eternità ai gesti di carità più umani e quotidiani. Noi non attendiamo un venir meno del mondo, ma la sua trasfigurazione da luogo nel quale si celebra prevalentemente la morte, a causa della violenza (come in questi giorni), a luogo dove si celebra solo l'amore, l'armonia, la concordia.
Forse non siamo tanto vigilanti proprio perché non consideriamo veramente questa prospettiva che il Vangelo ci presenta, e ci portiamo ancora dietro una certa attesa minacciosa di severi rendiconti e castighi.
Dieci ragazze che attendono lo sposo: cinque con la riserva di olio per le loro lampade, le altre no. Lo sposo tarda e tutte si addormentano, e quando sta per venire sono tutte sorprese così. Nessuna è capace di una vera vigilanza, e quindi di una piena corrispondenza alla venuta del Signore. Forse non ci è nemmeno richiesto. Quando vediamo i limiti e le povertà della Chiesa non dobbiamo diventare dei delusi scettici. Quello che può salvare è l'umiltà: il preparare quello che è possibile per l’incontro con il Signore che viene, sapendo che tutto è dono, è grazia, quindi ci sorprenderà sempre dentro le nostre non corrispondenze della fede.
Il cammino sinodale che dobbiamo fare parte da una presa di coscienza dei propri errori e mancanze, da una giusta misura di sé, sapendo che il Signore non fa mancare la sua grazia. Questo per liberarci dalla deriva efficientista e attivistica di un certo protagonismo ecclesiale.
Il racconto della parabola suscita l’interesse e la domanda circa l'olio di riserva che le cinque ragazze hanno preso, e le altre no. Alcuni studiosi invitano a non insistere troppo sull’allegoria del racconto: cioè a capire che cosa rappresenti l'olio. La parabola vuole essere innanzitutto una lezione di intelligenza, di saper mettere in conto un tempo lungo di attesa (A. Mello).
Io prendo in considerazione l'ultima, dura affermazione dello sposo verso le cinque ragazze che sono giunte in ritardo al suo arrivo: «In verità io vi dico: non vi conosco». L’ho sempre interpretata come una condanna: Io non voglio aver nulla a che fare con voi. Questa volta, invece, la leggo come la constatazione di ciò che è mancato a queste ragazze: il rapporto con lo sposo. Non è l'infedeltà di un momento, di quella notte, ma l'infedeltà di una vita, tanto che lo sposo proprio non le conosce. È nella vita di ogni giorno, con la sua ordinarietà, che dobbiamo farci prendere dalla bellezza della relazione con il Signore. Con la sua affermazione, lo sposo non vuole essere implacabile e tranciante: costata semplicemente la realtà: non può entrare alle nozze chi non ha costruito una relazione vitale con lui. L'amore deve essere una storia, non l'atto dell'ultimo momento.
Questo può anche rispondere ad una certa perplessa antipatia che suscita la reazione delle cinque ragazze, quando hanno rifiutato di condividere l'olio con le altre. Il Regno non è il luogo della solidarietà, della condivisione, della comunione? Certamente, ma la relazione con il Signore deve essere per forza personale, per essere vera relazione, e quindi non la si può prendere in prestito da altri.
Alla fine, il Signore ci riconoscerà se avremo vissuto la relazione con Lui, riconoscendo e mettendo a frutto i suoi doni ricchi e gratuiti (parabola dei talenti: Vangelo di domenica prossima) e se lo avremo riconosciuto e servito nella carità praticata verso i fratelli più poveri e fragili (racconto del giudizio finale: Vangelo fra due domeniche). Allora entreremo alle nozze eterne, grande traguardo che attende l'umanità nella notte della guerra e della violenza. A noi, tenere le lampade accese con una riserva di desiderio di relazione d'amore.
(Alberto Vianello)
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