“La violenza delle parole”, titolo che richiama alla mente l’odio che spesso anima una cattiva comunicazione e ne è al contempo veicolato; tuttavia, Gheno ha scelto di partire dalla comunicazione come frutto dell’amore. Se la possibilità che l’umanità abbia sviluppato il linguaggio orale dalla necessità, per le madri, di rassicurare i loro neonati quando non potevano mantenere il contatto fisico con loro è solo un’ipotesi di ricerca, per quanto suggestiva, è invece palese che ciascuno e ciascuna di noi impara a parlare solo perché le persone che ha intorno a sé parla e, soprattutto, ci parla; del resto, è con la parola che annunciano la venuta al mondo di un nuovo essere umano assegnandogli un nome e sempre attraverso la parola è possibile rispondere alla domanda più importante: chi sono?
Proprio qui, però, si nasconde l’insidia principale della comunicazione. La parola può tanto definire, includere e identificare quanto stigmatizzare ed escludere, esercitando così un potere il cui effetto può essere, a seconda dei casi, dei contesti e delle intenzioni, generativo o distruttivo. A ciò si aggiunge il fatto che viviamo in una società sempre più complessa e difficile da comprendere, che esalta il punto di vista individuale e fornisce ampie possibilità di espressione: se da un lato questo permette a tante persone e categorie una presa di parola fino a poco tempo fa impensabile, dall’altro accresce le dissonanze e può provocare un senso di disagio quasi istintivo: l’essere umano è costitutivamente attratto dai suoi simili e tende a rifuggire la diversità.
Di fronte a questa realtà complessa, le parole non hanno certo il potere di modificarla; hanno però quello, non meno importante ...
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