Luci e ombre. Forse più le prime. Ma il bilancio della riforma liturgica, a 60 anni dal varo della Sacrosantum Concilium (SC) il documento conciliare che la codificò, e a 50 dalla nascita dell’Ufficio liturgico nazionale, è ricca di spunti di riflessione. Come dice il vescovo di Mantova e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, Gianmarco Busca, al termine del convegno organizzato proprio dall’Uln per fare il punto sull’applicazione della riforma in Italia
La questione è se le liturgie sono vive, capaci di evangelizzarci e di aprirci all'incontro con Dio. Indubbiamente ci sono stati degli equivoci intorno alla actuosa partecipatio, alla partecipazione attiva, che spesso è stata banalmente ridotta al far fare a tutti qualcosa, mentre invece nella mens della SC l’idea è che sia una partecipazione intensa coinvolgente. La liturgia implica uno scatto, il passaggio di una soglia, l’ingresso in un mondo altro che è quello dell’umano trasfigurato dal divino. Perciò il silenzio, l’adoperare un linguaggio diverso da quello della strada restano fondamentali.
Nel convegno si è parlato di una liturgia in uscita per una Chiesa in uscita. Che cosa significa?
Significa una liturgia non autoreferenziale che ci proietta in un sacro separato, ma che è capace di ospitare il realismo della dimensione umana anche con il suo risvolto drammatico. Ad esempio, sarebbe una liturgia solo in entrata quella che cura una resa puramente estetica. La liturgia cristiana invece si fa carico anche della non bellezza, dell’esperienza del male, del peccato, dell’incompiutezza. Nel rito entra la vita e la vita deve entrare nel rito in una osmosi continua dei vissuti portati all’altare e deposti davanti a Dio.
L'intera intervista di Mimmo Muolo a questo link:
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