Gesù per lavare i piedi a tutti gli apostoli deve vincere la tentazione di rispondere per le rime, di rifiutare quel gesto di servizio a qualcuno di loro. Dove trova questa forza e contemporaneamente non scadere in un passivo lasciarsi vivere dagli eventi che si succederanno rapidamente?
Giovanni non narra l’istituzione dell’Eucaristia ma il gesto di Gesù di chinarsi davanti ai discepoli lavando loro i piedi. Se ci si pensa il significato è lo stesso.
Nei sinottici le parole di benedizione sul pane e sul vino si concludono con “Fate questo in memoria di me” che sono la richiesta ai discepoli di fare della loro vita quello che Gesù ha fatto della sua: servizio d’amore verso tutti fino ad essere pane spezzato e vino versato. È quello che la liturgia con il cammino fatto in questi mesi ci ha proposto comprendere e far nostro nella prassi per giungere ora a sintesi. La rivelazione dell’agire di Dio, attraverso la vita e l’annuncio fatto da Gesù, è sempre stato teso a trasformarci fino a configurarci con lui ad essere, come dice Paolo, non più noi che viviamo ma è il Cristo che vive in noi e attraverso noi diventa presenza di vita nel mondo concreto che ci vede protagonisti.
Giovanni ci presenta invece Gesù chinato in quel gesto del servo che sintetizza tutta la sua vita. Non è un fatto isolato ma un qualcosa che nella sua forza iconica e simbolica racchiude tutto l’agire di Gesù nella storia, nel suo incontrare i malati e curarli, nel suo parlare a folle assetate di vita, nel suo farsi prossimo a esclusi ed emarginati, il suo servire e non farsi servire, il suo dare e non pretendere, il suo farsi servo e non padrone, il suo servire e non usare. Di fronte a questo c’è sempre anche la possibilità un “no”, di un rifiuto, ergersi a padrone, donare e al tempo stesso trattenere gelosamente per sé o pretendere. Ma non si possono servire due padroni contemporaneamente; Gesù lo ha detto anche con durezza. C’è un aut-aut a cui non si può sfuggire. Riguarda sia il modo in cui si esercita il governo e l’autorità nella comunità cristiana, sia i rapporti interpersonali nella comunità e in tutti gli ambiti nei quali viviamo, dalla famiglia in casa, al lavoro, dagli amici alla società intera. A tutti è chiesto di imitare Gesù che si fa servo e non padrone dei fratelli o degli uomini. È questa la caratteristica che dona autorevolezza e non autorità in ogni ambito.
Di fronte a questo non può che esserci il nostro stupore: Gesù lava i piedi anche a Giuda che lo tradirà, a Pietro che lo rinnegherà, ai discepoli che lo abbandoneranno e con questo narra e rivela l’agire e l’essenza di Dio che prima di amore è mitezza cioè la forza di non lasciarsi contagiare dal male e dalla sua violenza in tutte le forme, da quella verbale, a quella del terrorismo, delle armi. Gesù per lavare i piedi a tutti gli apostoli deve vincere la tentazione di rispondere per le rime, di rifiutare quel gesto di servizio a qualcuno di loro: non si difende, non aggredisce: scegli di amare tutti indistintamente.
Dove trova questa forza e contemporaneamente non scadere in un passivo lasciarsi vivere dagli eventi che si succederanno rapidamente? Affidandosi “a colui che giudica con giustizia” (1Pt 2,23). È la sua fiducia nel Padre che lo porta a chinarsi, a rinunciare a tutto anche alla propria vita diventando pane spezzato, vino versato (Fil 2,6-11).
Stupore per un gesto che non è semplice bontà di fronte al quale levarcela con una lacrimuccia sentimentale, ma che rivela, narra l’agire di Dio che chiede di essere contemplato in silenzio ed esige tempo per diventare un reagente che porti a trasformare il nostro modo di porci nel mondo.
L’invito allora è quello di sostare, di darci tempo. Chi ha fretta confida in sé, nelle proprie capacità di agire spesso spinto più che dalla fede dall’ansia che diventa una prigione impedendo allo stupore di raggiungere il nostro cuore e di agire in esso. Isaia scrive “chi crede non ha fretta” (28,16) e “nella quiete fiduciosa sta la vostra forza” (30,15b).
(BiGio)
Grazie, bellissima interpretazione
RispondiEliminaLinda