C’è da rimanere stupiti. Invece siamo così abituati a sentire questa pagina dell’Evangelo di Marco che ci passa davanti lasciandoci indifferenti e, invece, dovremmo rimanere almeno sorpresi da questo racconto che suscita molte domande alle quali cercare una risposta.
Due donne erano rimaste attente a vedere dove avevano deposto il corpo di Gesù. Una di queste, Maria di Magdala, con altre due vi si recano “di buon mattino, il primo giorno dopo il Sabato” portando tra le mani dell’unguento pur nella coscienza che non avrebbero potuto usarlo perché non sarebbero riuscite a spostare la pietra che chiudeva l’ingresso del sepolcro: perché ci vanno allora?
Tra l’altro ci vanno poi con l’intenzione di fare una cosa che non era abituale a quei tempi: ungere un cadavere dopo la sepoltura; perché pensano di farlo?
Entrano nel luogo della morte e ne escono fuggendo via spaventate ma anche piene di stupore. È la paura che prevale e finiscono per non dire nulla a nessuno dell’incarico avuto: annunciare che Gesù era risorto e li precedeva in Galilea. Perché?
Marco vuole sottolineare e farci prendere coscienza che l’uomo non riesce a far perdurare un corpo oltre la morte; è sforzo inutile cercare di farlo, non è l’imbalsamazione che risolve il problema.
Quelle tre donne di fatto non sanno cosa fare e cercano di trasformare il loro dolore in un atto d’amore portando quello che possono ma, soprattutto loro stesse. È nell’esperienza di tutti quanto sia faticoso e doloroso rielaborare un lutto. Significa dover ricomporre, riportare ad unità la propria vita senza la presenza fisica della persona con la quale si era condiviso una esperienza non importa quanto lunga: non servono lustri interi, pochi mesi possono essere più che sufficienti per trovarsi spiazzati.
Tre è il numero della perfezione, ma a queste donne manca qualcosa: il loro maestro al quale erano affezionate e legate alla vita di sequela alla quale le aveva chiamate. Chi seguiranno ora? Ecco il loro tentativo di mantenere in vita chi aveva dato loro un senso nuovo nella vita. Sono ripiegate su se stesse, guardano per terra … ma quando alzano lo sguardo vedono che la pietra che separava il luogo della vita (la loro) e quella dei morti è stata spostata: questa separazione dalla resurrezione di Gesù non c’è più.
Entrano cercando un morto e trovano un giovane seduto. Marco qui usa un termine greco per la seconda volta e poi mai più: è lo stesso con il quale era stato identificato quel ragazzo che fuggiva via nudo quando avevano arrestato Gesù lasciando, non il lenzuolo nel quale era avvolto, ma il suo sudario, la sua sindone nelle mai dei soldati romani. Era un annuncio di quanto accade ora. Eccolo qui di nuovo, rivestito di una veste bianca splendete di luce come quella che era stata descritta indossata da Gesù nella trasfigurazione.
Di fronte a questo le tre donne provano quella “paura” che si ha davanti ad una manifestazione del divino che percorre l’intera Scrittura. Non è “paura” di Dio: sanno e sappiamo bene che Dio è Padre, che ci ama, vuole la nostra salvezza, per questo sempre ci perdona. Questa “paura” è piuttosto il rendersi conto di quanto siamo piccoli di fronte a Dio, al suo amore e che il nostro bene sta nell’abbandonarvicisi con umiltà, con rispetto e fiducia. Questo è l’aver “paura” di Dio: lasciarsi avvolgere dalla bontà del Padre che ci ama con quell’atteggiamento - tanto raccomandato da Gesù nel Vangelo - di chi ripone tutte le sue preoccupazioni e le sue attese in Dio e si sente abbracciato e sostenuto dal suo calore e dalla sua protezione, proprio come un bambino in braccio al suo papà.
Le prime parole di questo giovane, come ha fatto l’angelo a Maria nell’Annunciazione, sono l’invito a rendersi conto di questo e, quindi, a non avere “paura” ma di andare dai suoi discepoli e da Pietro, non per raccontare quanto è accaduto loro, ma porgendo l’invito ad andare in Galilea dove Gesù li precede. Ma a fare cosa?
Non solo a “vederlo” bensì a rendersi conto che “li – e ci - precede” quindi a riprendere a seguirlo, ad uscire dall’essere rinchiusi in se stessi preoccupati della propria vita e a rimettersi in strada guardando avanti, ritrovando in quanto vissuto con lui fin dall’inizio, le indicazioni su come vivere per essere alla sua sequela.
Ma le donne non dissero nulla a nessuno perché avevano paura. Questa volta però non di Dio, ma di quanto avevano vissuto e di non essere credute da una società dove la testimonianza delle donne valeva nulla.
Ma c’è qualcosa di più. È quel silenzio che è la necessità di prendere coscienza dell’esperienza fatta prima di poterla esprimere ed annunciare e che per loro è stata una “sequela”. Sono infatti state coinvolte nell’esperienza fatta da Gesù dalla morte alla vita. È questo che Marco desidera dirci con quel sottolineare che sono entrate ed uscite dal sepolcro: è stato un morire con Cristo per rivivere con lui da con-risorte. Vi è in questo l’indicazione simbolica dell’immersione battesimale che ogni cristiano ha avuto, è l’invito a riprendere il cammino dietro al Signore che precede sempre.
Lieta Pasqua di Risurrezione, lieto cammino!
(BiGio)
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