La promessa di Gesù, che sarà lui stesso a far risorgere il tempio del suo corpo, possiamo accoglierla anche come assicurazione che le rovine causate dalle nostre contraffazioni saranno restaurate. Questa parola ci raggiunge dunque come parola di giudizio e di consolazione. Giudizio che chiede vigilanza e discernimento; consolazione, suscitata dalla promessa della fedeltà di Dio, di cui la Pasqua è compimento.
Dopo le due domeniche iniziali – la tentazione nel deserto e la trasfigurazione sul monte – comuni alle tre annate del lezionario, la liturgia dell’anno “B” ci invita a proseguire il cammino quaresimale mettendoci in ascolto di tre pagine tratte dal quarto Vangelo, in ciascuna delle quali ci è consegnata un’immagine che ci aiuta a entrare nel mistero della Pasqua. Immagini da ascoltare, in obbedienza alla voce udita scendere dalla nube, nel racconto della trasfigurazione: “Questi è il figlio mio, l’amato, ascoltatelo” (Mc 9,7).
La prima immagine è quella del tempio, edificio e corpo: due realtà che passano da una situazione di morte a una di vita. Edificio che Gesù purifica, corpo che risuscita.
Lo spettacolo del tempio ridotto a mercato indigna Gesù, che vi osserva un groviglio di gente, animali e denaro. Eppure in tutto quello non vi era nulla di anomalo: quegli animali erano necessari per il culto, come anche il commercio, a favore di chi non poteva portare con sé da lontano le vittime necessarie ai sacrifici. Un commercio dunque inevitabile, che immancabilmente si rigenera intorno a ogni espressione del sacro. Quasi che il sacro generi naturalmente commercio!
Quella attività occupa lo spazio del tempio, che nella prima parte del brano è detto ierón (vv. 14 e 15), termine generico che indica il complesso nel suo insieme. Gesù si scaglia contro questa area sacra e tutto il suo commercio, con un’azione che ha certamente un significato e una finalità immediati: fare piazza pulita. Ma quel gesto ha anche un valore simbolico, che giustifica la reazione dei capi: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” (v. 18). Intuiscono che Gesù in quel modo sta presentando le sue credenziali, e chiedono un segno che legittimi ciò che pretende di essere, cioè il Messia che adempie le parole degli ultimi due profeti: Malachia e di Zaccaria. Il primo infatti aveva annunciato che il Messia sarebbe entrato nel suo tempio e vi avrebbe compiuto un’azione di giudizio: “Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia” (Ml 3,3). E il secondo dice: “In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore dell’universo” (Zac 14,21).
In quel gesto di purificazione vi è dunque un chiaro messaggio ...
L'intera riflessione di Sabino Chialà è a questo link:
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