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Mc 11,1-10 - Domenica delle Palme

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme è oscurato da una grande incomprensione sia dei giudei dell’epoca ma anche da noi quando ci viene chiesto di "seguire Gesù" nel suo ingresso a Gerusalemme e, a volte, con una libertà non corretta, si riprende a dire "imitando il popolo di Israele".


Sulla strada che ha percorso Gesù dalla Galilea a Gerusalemme c’è Gerico e, in quella città fa il suo ultimo miracolo: guarisce dalla sua cecità Bartimeo che, guarito, inizia a seguire Gesù nella salita verso la Città Santa. È il prototipo di ogni discepolo che, una volta compreso chi sia Gesù (quando ci si “aprono” gli occhi e si riacquista la vista prima oscurata dall’essere ripiegati sulla nostra personale identità), desidera far parte della sua vita, del suo modo di vivere e lo segue passo a passo nel dono totale di sé.

Salendo da Gerico, poco prima della cima del Monte degli Ulivi c’è Betania dove abitavano Marta, Maria, Lazzaro e Betfage. Sono due piccoli paesi nei quali, come in tutte quelle realtà anche oggi,  c’è una mentalità meno aperta e capace di accogliere le novità. L’Evangelo desidera evidenziarsi proprio questa situazione di chiusura che potrebbe essere anche quella della nostra Comunità se ripiegata, attorcigliata, “legata” su se stessa, sul si è sempre fatto così.

Gesù manda due discepoli a Betfage a sciogliere, a “slegare” non un puledro come nella nostra traduzione, ma un asinello che è il simbolo del servizio e non del potere e degli eserciti come invece lo è il cavallo.

Zaccaria lo aveva profetizzato: sarebbe giunto, cavalcando un asinello, il re della Figlia di Sion (la periferia povera di Gerusalemme) che farà sparire i carri e i cavalli, porterà la pace e il suo dominio si estenderà dall’Eufrate (in Mesopotamia) a Tarsis (in Spagna), cioè fino ai confini della terra. Questo re avrebbe capovolto il mondo mettendosi al servizio dei più poveri, dei più deboli. 

Slegare l’asinello del villaggio desidera esprimere questa realtà mentre tutti, tra le quattro figure di Messia possibili, attendevano per lo più il liberatore di Israele dal dominio romano con la potenza. 

Questo capovolgimento viene sottolineato anche dal fatto che sono abitanti del villaggio e non il suo padrone, che ne chiedono ragione ai discepoli che rispondono come aveva detto loro Gesù: “Il Signore ne ha bisogno” ed essi “li lasciarono fare” offrendo così la possibilità che emerga la capacità di un servizio. Con altri termini ed in un’altra situazione viene così richiamato il messaggio di domenica scorsa: se il seme di grano non muore …, vale a dire che ogni realtà, ogni uomo è chiamato ad uscire dal suo tranquillo tran-tran che lo soffoca, per far esplodere tutta la vitalità e la ricchezza che c’è in lui.

 

Normalmente poi non ci si sofferma sui mantelli gettati sull’asinello sopra i quali si è seduto Gesù e quelli messi invece a terra sul percorso che avrebbe compiuto. In questo modo l’Evangelista fa emergere due situazioni contrapposte. Nella Scrittura il mantello rappresenta la persona; metterli sull’asinello raffigurano i discepoli che aderiscono con tutto se stessi a quello che Gesù propone e la volontà di continuare quello che lui sta facendo. Mettere invece i propri mantelli, la propria realtà, per terra per farli calpestare dalla cavalcatura, significava sottoporsi al potere, al servizio del nuovo sovrano; ma Gesù è venuto per servire, non per essere servito.

Ecco allora “servito” il grande equivoco, la grande incomprensione tanto è vero che, similmente a come venivano acclamati i condottieri, gridavano Osanna” - che significa “dai salvaci - benedetto il Regno che viene del nostro padre Davide” (Ps 118,26). Nemmeno una settimana dopo, capito che Gesù non era il condottiero atteso, gridanoCrocifiggilo”. 

(BiGio)

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