In ogni persona ci sono delle capacità delle potenzialità a volte sconosciute a lui stesso e che si liberano soltanto se lascia andare la sua forza vitale. Non è la morte che imprigiona l’uomo, ma il suo rimanere chiuso a difendere uno status quo senza dare la possibilità a se stesso di dilatare e far giungere a pienezza quello che è chiamato ad essere, per non essere dispersi come fa il vento con la pula.
L’immagine che la domenica laetare ci ha consegnato è quella del Figlio dell’uomo, innalzato come il serpente nel deserto il cui nome ebraico è l’anagramma di quello di Gesù: ”Dio salva”. L’innalzato ci fa dono della vita, ogni giorno. A noi chiede solo di “guardarlo”, di accordargli la nostra fiducia, di credere in lui, senza temere di esporsi alla luce che emana dalla sua croce, perché non è luce che acceca o uccide, ma luce che libera. Questo nella consapevolezza che tutto quanto Dio opera è solo espressione del suo amore, della sua fedeltà eterna, del suo dono incondizionato e totalmente gratuito. Quello che Gesù ci ha detto, all’inizio del vangelo, sul Figlio dell’uomo, lo ripeterà appena prima di entrare nella passione: “Non sono venuto per condannare il mondo ma per salvare il mondo” (12,47).
Oggi incontriamo dei greci che a Gerusalemme per la Pasqua chiedono di “vedere Gesù” e, questo verbo, significa non solo “guardare” bensì il desiderio di fare esperienza di e con lui, condividendo la sua vita, il suo modo di essere. Lo chiedono a Filippo, un apostolo dal nome greco che era di Betsaida di Galilea, si appoggiano cioè ad uno dalla mentalità più aperta, che non si fa scrupolo di parlare con un non ebreo. Filippo per portare la richiesta si fa affiancare da Andrea, un altro di origine simile a lui. Qui l’evangelista desidera dirci che al Signore si va non sa soli, ma accompagnati da una comunità aperta alla quale rivolgersi, capace di “far vedere” chi è Gesù.
Non dovrebbe allora sorprendere la risposta di Gesù che inizia con un “È giunta l’ora”, quella nella quale “il chicco di grano, caduto in terra”, porti molto frutto non solo per il popolo di Israele, ma per tutti gli uomini. Il Figlio dell’uomo viene “glorificato” quando mostra quanto ama l’uomo, perché così rivela il volto autentico di Dio. Ora è giunto il momento di mostrarlo in pienezza, senza che ci sia alcuna possibilità di equivocare, affermando la diversità di Dio da tutti gli altri dei che si fanno servire dagli uomini. Il Padre in Gesù ha rivelato che Lui è esattamente il contrario: si è messo al servizio di chi aveva bisogno, ha curato i malati, è andato incontro agli emarginati come i lebbrosi, ha accolto i peccatori senza mai condannare nessuno perché lui è venuto per salvare il mondo.
Quando il chicco cade in terra sembra morire, in realtà fa esplodere la vita che c’è il lui. L’evangelista desidera farci comprendere che in ogni persona ci sono delle capacità delle potenzialità a volte sconosciute a lui stesso e che si liberano soltanto se lascia andare la sua forza vitale. Non è la morte che imprigiona l’uomo, ma il suo rimanere chiuso a difendere uno status quo senza dare la possibilità a se stesso di dilatare e far giungere a pienezza quello che è chiamato ad essere. “Chi ama la propria vita”, chi pensa solo a se stesso la spreca, ci si realizza invece nella misura in cui si ha la capacità di donarsi agli altri. Dare non è perdere, ma è guadagnare. È questa “la vita eterna” il vivere oggi la stessa vita di Dio amando come lui ama, non una possibilità per un futuro remoto, ma come una qualità possibile nel presente. Questo è dato a tutti, non solo a un popolo.
Continua Gesù: “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo” e i suoi “servi” sono quelle persone che hanno messo tutta la loro vita a servizio del disegno di Dio, del suo progetto d’amore per l’intera creazione. L’essere “servi del Signore” è il titolo più grande al quale può aspirare un uomo: è stato dato a Mosè, a Maria, a S. Paolo. Ma anche a tutti coloro che hanno dato la propria vita per gli altri per essere dove lui è: nel servizio a coloro che hanno fame, sete, che hanno bisogno di essere consolati, aiutati a rialzarsi (Mt 25).
Se uno vive così “il Padre lo onorerà”. Il termine ebraico, che non ha i concetti, lo rende con affermando che è un qualcosa di pesante, come lo è un mantello regale; vale a dire che quanto fatto in quel modo rimarrà in eterno, non sarà disperso come il vento fa con la pula.
La Chiesa, le Comunità che stanno vivendo questa Quaresima camminando dietro il loro Signore che sale verso Gerusalemme, ponendo domande per comprendere chi lui sia, ricevendo risposte, sono chiamate a farsi carico della fatica degli uomini che Dio le ha consegnato, la fatica del mondo nella quale pure noi siamo chiamati a vivere, sapendo che questo è un chicco che muore ma che è destinato a portare molto frutto.
(BiGio)
Grazie! Ho di che pensare , oggi.
RispondiEliminaLinda