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III Domenica di Quaresima - Gv 2,13-25

Quello che denuncia Gesù va oltre alla riduzione del rapporto con Dio a un evento mercantile. Gesù con quella sua azione desidera affermare che il “volto di Dio” non va più cercato nel Tempio perché è lui quel Volto al quale aneliamo, è in Lui che noi incontriamo il Padre del cielo. Il senso di quel “distruggere il tempio” è quello di lasciarlo perdere perché ha terminato la sua funzione.



Le nostre domande su chi sia Gesù che ci hanno accompagnato lungo il Tempo Ordinario, ci hanno introdotto nella Quaresima e, nelle prime due Domeniche, hanno trovato delle prime indicazioni. È un Dio che si fa vicino a noi ed è in tutto simile a noi, tanto da vivere come noi nella continua tentazione di mettere il nostro “io” davanti al progetto di Dio. Ma Gesù assume nella solidarietà e nella compassione la nostra vita per cambiarla di segno e mostra nella sua trasfigurazione ciò a cui siamo chiamati. Vi si giunge però attraverso la porta stretta della passione, della croce. Non si possono bruciare o saltare nessuna tappa.

 

In questa terza Domenica di questa Quaresima la Liturgia lascia l’Evangelo di Marco per accompagnaci verso la Grande e Santa Settimana con quello di Giovanni che, a differenza dei Sinottici, pone all’inizio del ministero di Gesù l’episodio della “purificazione” del Tempio, nella prima delle tre Pasque che lo vedrà a Gerusalemme.

Il Tempio era il luogo di incontro tra Dio e il suo popolo nel quale, seguendo le indicazioni in particolare del Levitico, il culto si concretizzava essenzialmente nei sacrifici che accompagnavano i momenti più diversi della vita dell’uomo esprimendone gli stati d’animo più vari: dalla consapevolezza di peccato al ringraziamento, all’espressione spontanea di religiosità. Abbandonati i sacrifici umani come la prima lettura di domenica scorsa ci ha tra i molti aspetti testimoniato, al primo posto c’erano gli “olocausti” la cui vittima animale veniva integralmente bruciata. Poi c’erano i sacrifici di “comunione”, “lode”, di “confessione”, di “oblazione” e, infine, due tipi di “espiazione”. Attraversi i sacrifici compiuti nello spirito del codice del Levitico, qualcosa del donatore o dell’offerente entrava nella sfera divina: un messaggio di amore, di ringraziamento, una domanda, un’implorazione. 

Si deve riconoscere che, a parte i sacrifici animali, molto di questo è rimasto anche nella prassi religiosa cristiana: dalle offerte in suffragio dei morti, alle candeline davanti a statue o quadri di Santi e Madonne; dalle offerte per celebrazioni o benedizioni, a tante pratiche di digiuno, astinenza, preghiere; amuleti e immagini sacre acquistate sui banchi dei santuari, delle chiese e altro ancora.

Quel mercanteggiare nei cortili del Tempio di Gerusalemme era tollerato per agevolare le masse che a Pasqua venivano anche da molto lontano (si calcolano anche 120.000 pellegrini su una popolazione di 40.000 abitanti) e non potevano certo portarsi dietro da casa quanto serviva per l’olocausto. L’offerta in denaro poi non poteva avere immagini dei potenti dell’epoca e, quindi, dovevano essere cambiate con quelle abilitate ed accettate all’interno del Tempio per non contaminarlo (chiamate “prutot”).

Già ripetutamente i profeti avevano contestato quel tipo di culto definendolo una trappola perché fa pensare di essere a posto avendo fatto delle belle liturgie: quello che Dio vuole, dicevano con forza, è la giustizia. Questo, gli ebrei già lo sapevano, non c’era bisogno che Gesù facesse quell’azione violenta. 

Quello che denuncia Gesù va oltre alla riduzione del rapporto con Dio a un evento mercantile: i suoi favori sono completamente gratuiti, non possono essere comprati, non si può dargli nulla e nemmeno far entrare qualcosa di noi nella sua sfera divina come il Levitico pensava. 

 

Se il salmo 27 pone sulle nostre labbra la ricerca del volto di Dio e il salmo 84, con tutti quelli di pellegrinaggio e dell’ascensione a Gerusalemme, ci fa anelare ad abitare gli atri del Tempio, il luogo della Presenza del Padre, Gesù con quella sua azione desidera affermare che il “volto di Dio” non va più cercato nel Tempio perché è lui quel Volto al quale aneliamo, è in Lui che noi incontriamo il Padre del cielo. Il senso di quel “distruggere il tempio” è quello di lasciarlo perdere perché ha terminato la sua funzione. Con l’Incarnazione l’immagine del Volto di Dio ora è in ogni uomo, in ogni donna perché Dio, in Gesù, si è fatto uomo.


I richiami qui possono essere molti. Innanzitutto se il Tempio di pietre non doveva essere trasformato in un mercato, tanto meno i nostri corpi lo devono essere e la Comunità cristiana dovrebbe essere impegnata a denunciare tutte quelle situazioni nelle quali l’umanità è mercanteggiata, profanata a partire dai rapporti di genere per giungere ai luoghi di lavoro che a giorni alterni diventano altari nei quali vengono sacrificate delle vite. Senza contare le guerre con tutti i loro morti.

(BiGio)

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