Ho letto con un certo disagio il breve e apodittico ragionamento con cui Luigino Bruni entra nella questione teologica del “ministero femminile”, sfoderando alcuni luoghi comuni che non sono solo suoi, ma che non aiutano a comprendere la questione. Altrettanto sorprendente è il fatto che l’”Osservatore Romano” titoli con grande evidenza una tesi a dir poco discutibile (“Il sacerdozio non è la soluzione”, il testo dell’articolo si può leggere qui). All’inizio del suo intervento, Bruni ricorda giustamente il ritardo con cui la Chiesa si trova rispetto al cammino con cui la società ha riconosciuto in modo nuovo e inedito la vocazione e la dignità delle donne. Per recuperare questo “gap”, la Chiesa deve evitare, però, di “clericalizzare la donna”.
Gli argomenti principali sono quattro:
a) Siccome la comprensione del “sacerdozio” è clericale, la donna è meglio che non vi entri;
b) Prima si deve lavorare tutti insieme per cambiare il sacerdozio e renderlo non clericale;
c) Una volta guadagnato questo risultato, sarà naturale che questa nuova nozione includa in futuro sia gli uomini sia le donne
d) Se oggi impiegassimo energie per far entrale le donne nella concezione attuale del sacerdozio, avremo élites anche femminili introdotte nel “club sacrale” e nulla cambierà.
Non è la prima volta che ascolto questo ragionamento. Esso accomuna, non di rado, uomini e donne “di destra”, ma soprattutto uomini e donne “di sinistra”. A me pare che però si tratti di un modo per non affrontare veramente la questione e per confondere problemi diversi. Provo a presentare qui brevemente le mie obiezioni....
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