La guerra in Ucraina, il business delle armi, i pericoli della disinformazione nelle parole dell’analista dell’ Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) e di Rete italiana pace disarmo (Ripd)
Il 24 febbraio le forze armate russe invadono l’Ucraina. Ritorna un incubo per gli europei. Ritorna la guerra in Europa. Un tragico evento che pensavamo non si sarebbe più verificato. Eppure, ci fa notare Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) e Rete italiana pace disarmo (Ripd),
I segnali ci sono sempre stati, bastava vederli. Poi né gli Stati Uniti né la Russia hanno mai abbandonato la dottrina delle “zone di influenza” secondo la quale ciascuno considera sotto il proprio controllo una porzione di mondo, in particolare dell’Europa, secondo la spartizione degli accordi di Yalta. I segnali si sono intensificati soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino con l’avvento di diversi conflitti regionali già all’interno dell’Europa (ex Jugoslavia, Bosnia, Kossovo…) e poi in diverse parti del mondo tra cui Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Yemen, ecc. Paesi che sono stati utilizzati come “teatri di guerra” per combattimenti per procura, utilizzando di volta in volta forze militari di governi alleati o amici o milizie locali sostenute con denaro e armi.
Le guerre sono un affare per l’Italia ma anche per tutti i Paesi dell’Unione Europea che in questi anni hanno accresciuto, col sostegno dei rispettivi governi, le proprie esportazioni di armamenti proprio nelle zone di maggior tensione come il cosiddetto “Mediterraneo allargato”, la zona che dal nord Africa si estende lungo il Medio oriente fino al mar Nero e al mar Caspio. Tornando al conflitto in Ucraina va segnalato che per diversi anni i Paesi europei, compresa l’Italia, hanno inviato svariarti milioni di euro di armamenti sia all’Ucraina che alla Russia.
Al di là dell'intervento armato sarebbe necessario mettere in atto ogni strumento di pressione possibile, tra cui – oltre alle sanzioni economiche – forme di pressione nonviolenta, come ad esempio la presenza nella zona di conflitto di corpi addestrati all’interposizione pacifica che possono essere sia nazionali che internazionali. La via di mezzo che si è scelta, quella cioè di inviare armi all’Ucraina, che va inquadrata nel contesto della chiamata alle armi obbligatoria per tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni, di fatto significa una militarizzazione della società che espone la popolazione ad una escalation della violenza che non sappiamo dove può condurre. Andavano invece tentate altre soluzioni di tipo nonviolento, ma per metterle in atto occorre prepararsi. Avrebbero potuto prepararsi sia gli ucraini, che invece in questi anni hanno continuato ad predisporre solo modalità di difesa armata e militare, sia gli europei, che non dispongono come dicevo di mezzi di difesa civile non armata e nonviolenta.
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