Se ci atteniamo al IV vangelo vediamo che esso ci presenta Gesù sotto processo non solo nel momento dell’arresto, ma durante tutto il suo ministero pubblico: sempre Gesù è sottoposto a interrogatorio, sempre gli avversari, che in realtà sono “i suoi”, come li chiama il IV vangelo (“venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”: Gv 1,11), cercano motivi per metterlo a morte (Gv 5,18; 7,1.19.20.25; 8,37.40; 11,53).
La vita di Gesù nel IV vangelo è costantemente minacciata di morte dai suoi nemici e di fronte a questo si leva la domanda di Gesù che non trova risposta: “Perché volete uccidermi?” (Gv 7,19). Anche al cuore del racconto della passione emerge una domanda che rischia di passare inosservata e di perdersi nel flusso del racconto, ma che invece deve essere posta in rilievo. La domanda è ancora un “Perché?”. La troviamo in Gv 18,23: “Perché mi percuoti?”. Lì è rivolta a una guardia che l’ha preso a schiaffi, ma la possiamo e dobbiamo applicare a tutti gli attori della violenza e a tutte le manifestazioni di violenza: perché? perché mi fai violenza? Di più. La dobbiamo estendere al di là della vicenda di Gesù e riferirla a ogni vittima di violenza, a ogni persona oggetto di violenza nella storia e nel mondo. E dobbiamo porla in bocca, anzi ascoltarla, anche quando è solo un grido inespresso e muto del cuore, a ogni vittima di violenza: perché mi viene fatto del male?
Non ci è lecito non ascoltare e non farci eco di questa domanda di fronte a ogni corpo e a ogni volto umano che subisce violenza. E non possiamo non darvi voce quando essa rimane inespressa. Questo è compito profetico: dare voce al grido muto della vittima, dare voce alla sofferenza inferta all’uomo. Se là dove si leva il grido “perché mi fai del male?” c’è certamente ingiustizia, la condizione della verità e della giustizia è che si renda eloquente tale grido di dolore. E non si tratta della domanda astratta: perché la violenza? Non si tratta di una speculazione filosofica sull’animo umano, sul fenomeno umano della violenza che è di ogni tempo e di ogni luogo, ma della domanda che riguarda una precisa persona a cui viene fatto del male, è la sua domanda. È domanda che risponde a un volto percosso, a un corpo respinto, a una persona umiliata o insultata o maltrattata. Anzi, come per Gesù che chiede “perché mi percuoti?”, quella è la domanda con cui l’uomo risponde al male che gli viene inferto, e rispondendo chiede conto, chiede assunzione di responsabilità del male commesso. Quel “perché?” è la risposta interpellante della vittima del male. È espressione di stupore, di sconcerto e di incomprensione e diviene, al di là anche delle intenzioni della vittima, il tentativo di ricondurre alla ragione e al dialogo chi con la violenza si rifiuta sia di dialogare che di ragionare.
Ora, con quella domanda Gesù ha dato voce a tutte le vittime della storia a cui viene fatto il male. Il IV vangelo, infatti, presenta il Gesù flagellato, deriso, esposto a pubblico ludibrio, coronato ironicamente di spine, vestito di porpora come un re, ma denigrato nella sua palese debolezza e inermità. E di lui si dice: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5). Sì, è l’uomo, è l’uomo Gesù, è l’uomo come Dio lo vuole, è l’uomo che rifiuta di fare violenza e sceglie piuttosto di subirla, ma poi è ogni uomo, ogni essere umano, ogni uomo e ogni donna, l’essere umano che è re, che è portatore di una dignità regale, ma che è vilipeso, violentato, torturato, calunniato, ucciso, costretto a subire guerre, cacciato dalle sue terre, obbligato a fuggire, a separarsi dalla famiglia, e viene respinto o trova la morte nel suo cammino verso la libertà. Ecce homo: questa espressione evangelica è al contempo parola di rivelazione e parola di denuncia. Ed è parola che ci interpella.
L’evangelo ci pone una domanda che è nostro compito far risuonare in noi: perché mi fai del male? Ma questa domanda può risuonare anche in altre forme. Per esempio: perché ci facciamo del male gli uni agli altri? Perché ci facciamo del male anche nelle relazioni famigliari e domestiche, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amanti e tra amici, tra persone di una stessa comunità, nella chiesa e nella società? Perché ci facciamo del male, mentre cerchiamo per noi e, normalmente, vogliamo il bene anche per gli altri?
Il Cristo da cui proviene la domanda ci indica anche la via della risposta. Anzi, lui stesso è anche la risposta. Guardare l’altro ascoltando l’anelito del suo cuore a ricevere il bene, esattamente come anche noi ci attendiamo il bene, e ascoltare il grido dell’altro che si chiede perché gli venga fatto il male, inorridendo come se a noi stessi venisse fatto quel male, questo ci è chiesto per accedere a quella dimensione umana che trova in Gesù la sua icona, la sua piena realizzazione, la sua perfezione, come la indica il IV vangelo: Ecce homo. Ecco l’uomo.
(da Luciano Manicardi)
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