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Venerdì Santo: “L’appeso è una maledizione di Dio”

Nella scrittura c’era un solo luogo rinnegato da Dio stesso e nel quale certamente lui non c’era: in colui che pende dal legno (Deut 21,23 L’appeso è una maledizione di Dio ripreso anche da Paolo in Gal 3,13). Ecco allora la scelta di Gesù di portare per amore la misericordia del Padre ovunque, anche tra coloro che erano destinati ad essere tra gli uomini una maledizione tale da contaminare l’intera terra. Per questo era stato inviato e per questo lui è venuto nel mondo incarnandosi. Il Venerdì Santo inizia il grande silenzio e, in questo, si avvia e si conclude la Liturgia della Croce.



Il misterioso personaggio del IV Carme del Servo del Signore fa da guida alla comprensione di questo evento unico al quale, continuando quel “comando a far memoria" che, come sottolineato ieri, è ben più di un ricordare, di un guardare un libro di fotografie: è un essere resi partecipi, presenti sotto la croce di Cristo ed è per questo che, nella liturgia, avviene l'adorazione della croce. Altrimenti non sarebbe possibile, sarebbe idolatria come quella del vitello d’oro ai piedi del Sinài.

Quel Servo del Signore è un uomo giusto al quale viene inflitta una ingiusta condanna. La sua morte non può essere allora in alcun modo spiritualizzata dal momento che è e rimane una ingiustizia. C’è un passo nel primo libro della sapienza che ce lo dice bene: "dicono gli empi: tendiamo insidia giusto che per noi è l’incomodo (…). È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; c’è insopportabile solo al vederlo” (Sap 2,12-14)

Ma, il Servo del Signore, come Gesù davanti i suoi accusatori, non risponde con gli stessi mezzi violenti. Egli è mite, come coloro che sono stati dichiarati “beati” nelle beatitudini (Mt 5,5): “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca” e affida a Dio la sua difesa.

Il Servo affronta la situazione in piena libertà, è il frutto di una sua scelta: “ha spogliato sé stesso fino alla morte” (Is 53,12). Non c’è traccia di rassegnazione passiva, tiene invece in mano la propria esistenza fino all’ultimo respiro, è un dono di sé per gli altri. In Isaia questo torna più volte a sottolineare questa scelta del Servo.

La sua morte non è fine a sé stessa, non è un atto eroico che pone chi lo compie su un piedistallo di gloria, ma è un gesto d’amore ed è solo per questo che avrà una discendenza: perché ha vissuto la sua vita per gli altri. È il chicco di grano che caduto in terra produce molto frutto (Gv 12,24).


Il volto del Servo del Signore non è un volto “normale”: è un volto “sfigurato” è l'opposto di quello “trasfigurato” che i discepoli hanno contemplato sull’alto monte mentre parlava con Mosè ed Elia. Quello di Gesù in croce riassume le fatiche ed i dolori di tutti noi che può essere condensato in una sua domanda “Perché mi percuoti?” (Gv 18,23), perché mi fai del male? Qui trovano voce tutte le vittime della storia e ci è chiesto di far memoria di tutte quelle accadute in quest’anno trascorso, dall’ultima Pasqua ad oggi. 

Pilato afferma: “Ecco l’uomo!”. È l’uomo sfigurato dalla violenza; certo, oggi ci colpisce soprattutto quello della guerra in Ucraina e in tutti gli altri 58 dimenticati conflitti oggi in corso in questo nostro mondo. Ma sono anche tutte le altre violenze che quotidianamente ogni uomo e donna subiscono. Senza dimenticare i morti nel lavoro, le vittime dei femminicidi, le violenze che subiscono i bambini a casa o dai compagni per bullismo; i morti per fame, per mancanza di medicine …


A Natale, nel presepe siamo soliti mettere tante statuine che si recano festose alla grotta; oggi, sotto la croce, siamo invece chiamati a portare i volti sfigurati di tutti coloro che in un qualche modo soffrono anche solo psicologicamente a causa della lunga epidemia che ci coinvolge tutti.


L’Evangelo ci dice che “Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio” e don Tonino Bello commentava:Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio.” Ecco allora che pur sotto la croce si apre la speranza ...


(BiGio)

 

 


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