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La guerra di parole e quella in Ucraina. La riflessione di D’Ambrosio

È quasi un’utopia augurarsi una tregua di bombe e proiettili, ma anche di parole e di talk show. Eppure ragione e cuore di molti sono affaticati più che mai. Certo niente a che vedere con chi, ora, in Ucraina soffre la guerra, la fame, l’esilio e i nostri salotti, reali, sociali o televisivi, stridono con la realtà della guerra, tanto da diventare offensivi. Così non è solo la spada ad uccidere, ma anche la lingua, la comunicazione diremmo oggi


“Lussuria, lussuria; sempre guerra e lussuria; non c’è nient’altro che rimanga di moda”, scriveva William Shakespeare nel suo “Troilo e Cressida”. Di questi tempi le due mode (tragiche) sono accompagnate da un’altra, quella dell’informazione, “infodemica” come la si definisce, ovvero informazione eccessiva, martellante e spesso fuorviante.

È quasi un’utopia augurarsi una tregua di bombe e proiettili, ma anche di parole e di talk show. Eppure ragione e cuore di molti sono affaticati più che mai. Certo niente a che vedere con chi, ora, in Ucraina soffre la guerra, la fame, l’esilio e i nostri salotti, reali, sociali o televisivi, stridono con la realtà della guerra, tanto da diventare offensivi. Così non è solo la spada ad uccidere, ma anche la lingua, la comunicazione diremmo oggi.

Lo ricorda la Scrittura: “Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua” (Sir 28, 18). Mi è sembrato – ma posso sbagliarmi – che negli ultimi giorni uno dei settori più attraversati da spade e lingue sia stato quello religioso, con tante strumentalizzazioni. Non sono solo il presidente Putin, il patriarca Kirill I, il teologo Dugin (come ha ben spiegato qui Riccardo Cristiano) si industriano nell’usare in mala fede la religione, sfiorando la blasfemia, ma anche diversi altri servi e maestri della strumentalizzazione.

In questo clima si fa ancora fatica ad affermare, con ferma ragione e cuore aperto, che chi uccide nel nome di Dio non crede in Dio. (...)


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