Francesco non cerca di eliminare il male perché sa che è impossibile. Semplicemente esso si sposterebbe e si manifesterebbe altrove, in altre forme. Così è sempre stato. Cerca invece di neutralizzarlo. È dunque per questo che, sotto il profilo diplomatico, si assume la responsabilità di posizioni rischiose e incomprese fino a ritrovarsi solo come una voce che grida nel deserto. Come, del resto, Giovanni Paolo II al tempo delle guerre del Golfo.
Si parla di una guerra dai tempi lunghi, lunghissimi. Come ha scritto il direttore della Stampa Massimo Giannini, domenica scorsa: nessuno più parla di pace, se non lui, il Papa, che alcuni vorrebbero si unisse al coro «armi, armi, armi». Mentre noi abbiamo militarizzato pure gli animi che riflettono sulle soluzioni possibili.
Francesco ha incontrato tre volte Putin, una volta Poroshenko e una volta Zelensky. Ha sempre condiviso l'auspicio che «tutte le Parti implicate dimostrino la massima sensibilità nei riguardi delle necessità della popolazione, prima vittima delle violenze, nonché impegno e coerenza nel dialogo». Perché non ci si è preparati per evitare di cadere nel baratro della guerra con adeguati negoziati? Ci si è invece preparati alla guerra.
L'approccio di Francesco si fonda sulla certezza che non si dà a questo mondo l'impero del bene. Per questo bisogna dialogare con tutti, proprio tutti. Persino col generale Min Aung Hlaing, capo dell'esercito del Myanmar, responsabile delle operazioni contro i suoi amati Rohingya, per fare un esempio. Il potere mondano è così definitivamente de-sacralizzato. E proprio per questo nessuno è il demonio incarnato. La diplomazia della Santa Sede cuce, non taglia, anche in situazioni politicamente difficili, come quella dell'invasione russa dell'Ucraina. Questo genera la falsa percezione di un «neutralismo» del Papa, il quale sa che la violenza genera violenza e le vittorie generano sconfitte e paci instabili e friabili. Fu la pace di Versailles a generare il mostro nazista. E quante volte Francesco ha denunciato la pace di Yalta?
Il sacro non è mai puntello del potere. Il potere non è mai puntello del sacro. Francesco lo ha detto chiaramente a Kirill: «La Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù».
L'intero articolo di Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202204/220420spadaro.pdf
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