Non c’è più scelta, siamo costretti a fidarci di noi stessi (che azzardo!). Il gioco è aperto a tutti, e a ciascuno di noi sta il compito – direi il dovere – se credere in quei cadaveri casuali, in quei motorini rovesciati, in quei cani che aspettano il destino accucciati accanto al cadavere del padrone. Oppure non crederci, perché così ci va di fare: a patto di prenderci la responsabilità di non credere al dolore degli altri, alla morte degli altri. E’ vero, tutti hanno facoltà di non credere. Ma questo vuol dire, anche, che tutti abbiamo la facoltà di credere. E di non chiudere gli occhi. In questo conflitto tra empatia e diffidenza (e tra umiltà e presunzione) sta il futuro del mondo.
Precedenti “gocce che fanno traboccare il vaso” (la pulizia etnica a Srebrenica, il massacro nel villaggio vietnamita di My Lai, l’uso di armi chimiche in Iraq e in Siria) ebbero un forte impatto sull’opinione pubblica mondiale. Ma la loro documentazione fu parziale e tardiva, per ragioni tecnologiche prima che politiche: quei crimini avvennero in un’epoca precedente, nella quale il web doveva ancora nascere, i social non esistevano, la comunicazione non era materia spicciola e globale e l’informazione era ancora un prodotto “professionale”, con tutti i suoi limiti di controllo politico ed economico
L'intero articolo di Michele Serra a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202204/220405serra.pdf
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