L' Ascensione è un appello a concentrarci sull'essenziale

 Non una dottrina, ma una notizia che è un appello


Bruno Maggioni: Un appello di fronte al quale ci si gioca

Nel brano di questa domenica (16,15-20) Marco conclude l’intero suo racconto evangelico. Una conclusione che non chiude, però, il discorso, bensì lo apre. Inizia un cammino nuovo, non più del solo Gesù, ma di Gesù e della sua Chiesa. Ma quale cammino? In che direzione? Con quale modalità? Si tratta anzitutto di un cammino universale: in tutto il mondo, a ogni creatura, dappertutto (v. 20). Ciascun uomo, dovunque sia e a qualsiasi razza appartenga, ha il diritto di sentire l’annuncio del Vangelo. Per Gesù – e per i suoi missionari – non esistono i vicini e i lontani, i primi e gli ultimi. Gesù non dice ai discepoli di iniziare la missione da Gerusalemme: li invia subito in tutto il mondo. Il compito è quello di «predicare», un termine questo che merita una spiegazione. Non significa semplicemente tenere una istruzione o una esortazione o un sermone edificante. Il verbo «predicare» indica l’annuncio di un evento, di una notizia, non di una dottrina. Si tratta di una notizia decisiva: non è solo un’informazione, ma un appello. Tanto è vero che proprio nella sua accoglienza o nel suo rifiuto l’uomo gioca il suo destino: «sarà salvato», «sarà condannato» (v. 16). È questa un’affermazione dura, e certamente da intendere con le dovute precisazioni. Ma è pur sempre un’affermazione che non si può cancellare dal Vangelo. Il Vangelo predicato diventa credibile e visibile dai segni che il discepolo compie. Ma deve trattarsi di segni che lasciano trasparire la potenza di Dio, non quella dell’uomo. E deve trattarsi di segni che riproducono quelli compiuti da Gesù: le stesse modalità, lo stesso stile, gli stessi scopi. Non si dimentichi, poi, che il grande segno compiuto da Gesù è stata la sua vita e la sua morte: il miracolo di una incondizionata dedizione a Dio e agli uomini. Gesù ha terminato il suo cammino e si siede, i discepoli invece iniziano il loro cammino e partono. Gesù sale in cielo e i discepoli vanno nel mondo. Ma la partenza di Gesù non è una vera assenza, bensì un’altra modalità di presenza: «Il Signore operava insieme con loro e dava fondamento alla Parola» (16,20). Un’ultima osservazione: Gesù (16,14) «rimproverò i discepoli per la loro incredulità e durezza di cuore». Rimprovera i suoi discepoli per la loro incredulità e tuttavia li invia a predicare nel mondo intero. Un contrasto sorprendente. Il discepolo viene meno ma non viene meno la fedeltà di Gesù nei suoi confronti. È per questo che il cammino della Chiesa rimane, nonostante tutto, un cammino aperto e ricco di possibilità.

************                                                         

Josè Antonio Pagola: Costretti a rientrarci sull'essenziale, l'Evangelo

Gli evangelisti descrivono con linguaggi diversi la missione che Gesù affida ai suoi seguaci. Secondo Matteo devono «fare discepoli» che imparino a vivere come lui ha loro insegnato. Secondo Luca devono essere «testimoni» di quello che hanno vissuto insieme a lui. Marco riassume tutto dicendo che devono «proclamare l’Evangelo a tutta la creazione».

Quelli che si avvicinano oggi a una comunità cristiana non si incontrano direttamente con l’Evangelo. Ciò che percepiscono è il funzionamento di una religione invecchiata, con gravi segni di crisi. Non possono identificare con chiarezza all’interno di questa religione la Buona Notizia suscitata dall’impatto provocato da Gesù venti secoli fa’.

D’altra parte, molti cristiani non conoscono direttamente l’Evangelo. Tutto quello che sanno di Gesù e del suo messaggio è quanto possono ricostruire in maniera parziale e frammentaria ascoltando catechisti e predicatori. Vivono la loro religione privati del contatto personale con l’Evangelo.

Come potranno proclamarlo se non lo conoscono nelle loro comunità? Il Concilio Vaticano II ha ricordato qualcosa che è troppo dimenticata in questi tempi: «L’Evangelo è in tutti i tempi per la Chiesa il principio di tutta la sua vita». È arrivato il momento di intendere e configurare la comunità cristiana come un luogo in cui la cosa principale è accogliere l’Evangelo di Gesù.

Niente può rigenerare il tessuto in crisi delle nostre comunità come la forza dell’Evangelo. Solo l’esperienza diretta e immediata dell’Evangelo può rivitalizzare la Chiesa. Nello spazio di qualche anno, quando la crisi ci obbligherà a ricentrarci solo sull’essenziale, vedremo con chiarezza che niente è più importante oggi per i cristiani che riunirci a leggere, ascoltare e condividere insieme i racconti evangelici.

La cosa principale è credere nella forza rigeneratrice dell’Evangelo. I racconti evangelici insegnano a vivere la fede, non per obbligo ma per attrazione. Fanno vivere la vita cristiana, non come dovere ma come irradiazione e contagio. È possibile introdurre già nelle parrocchie una dinamica nuova. Riuniti in piccoli gruppi, in contatto con l’Evangelo, andremo recuperando la nostra vera identità di seguaci di Gesù.

Dobbiamo tornare all’Evangelo come nuovo inizio. Non serve più qualsiasi programma o strategia pastorale. Fra qualche anno, ascoltare insieme l’Evangelo di Gesù non sarà un’attività tra le altre, ma la matrice dalla quale comincerà la rigenerazione della fede cristiana nelle piccole comunità disperse in mezzo a una società secolarizzata.

(dal sito: insiemesullastessabarca)

Nessun commento:

Posta un commento