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La cancel culture è una cosa che somiglia al telefono senza fili


Leonardo Bianchi e Fabio Avallone di Valigiablu.it

Omero è stato tolto dalle università americane perché “razzista” e “suprematista”; Biancaneve è stata cancellata perché il bacio con il principe non era consensuale; e la prestigiosa università di Oxford si è sbarazzata di Mozart perché faceva “musica bianca” e colonialista.

Queste sono alcune delle recenti notizie che in Italia hanno suscitato stupore e indignazione, arrivando sulla bacheca di Salvini e altri guerrieri della resistenza contro il “politicamente corretto”.
C’è solo un piccolo problema: sono *leggermente* esagerate – nel senso che o sono delle fake belle e buone, oppure sono opinioni di singoli (a volte, solo alcuni tweet).
In tutti questi casi, infatti, nessuno vuole “cancellare” alcunché.
Del resto, la cosiddetta “cancel culture” è in larghissima parte un’invenzione delle destre politiche e religiose anglosassoni, che partono da casi insignificanti e/o travisati per lanciare una guerra culturale nei confronti della sinistra.
In Italia tutto questo arriva di riflesso; e in un paese in cui si rivendica l’uso della n-word e altri epiteti offensivi assume toni ancora più grotteschi e paradossali.
Quello che segue è un agile schema sul ciclo del dibattito sulla “cancel culture” in Italia, perché ormai siamo di fronte ad una tecnica collaudata che ricalca quasi pedissequamente le campagne d’opinione contro i migranti o le polemiche artificiose sul “buonismo”.

La cancel culture è una cosa che somiglia al telefono senza fili, il gioco che facevamo da bambini che consisteva nel mettersi in cerchio, sussurrare una frase all'orecchio del vicino, aspettare che tutti facessero lo stesso e vedere che cosa arrivava all'ultimo.
Lo schema è questo:
a) un tizio, su un giornale locale o un blog in un posto lontano e anglofono, scrive una cosa o fa una battuta o una riflessione tipo "oh, ma ieri ho visto Ben Hur ed è pieno di retorica schiavista, ma possibile che trasmettano ancora questa roba?"
b) i cacciatori di cancel culture arrivano allo scritto del punto a), lo rilanciano sui social con frasi del tipo "giù le mani da Ben Hur" ingaggiando qualche polemicuccia;
c) arriva Huffington Post (versione internazionale) e fa un articolo che si intitola "Ben Hur razzista e schiavista: è polemica";
d) dopo un paio di giorni Huffington Post (versione italiana) traduce l'articolo e lo rilancia nel Bel Paese;
e) Repubblica, Corriere e compagnia cancelcultureggiante riprendono l'articolo (di terza mano) e chiosano con un po' di retorica sul "non si può più dire niente", "ora ci tolgono anche Ben Hur", "anche Ben Hur incappa nelle maglie del politicamente corretto";
f) Salvini fa un post travestito da Ben Hur;
g) arrivano i meme;
h) Gramellini scrive un "buongiorno"
Tutta questa filiera è la stessa che al 712.498esimo caso di gay aggredito per strada dice "eh, ma è un caso isolato"

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