Il perché di quello che sta accadendo in Israele


Cosa sta succedendo, in Israele?

Perché ci sono stati gli scontri nella Spianata delle Moschee? E perché sono ripartiti i lanci di missili da Gaza, seguiti dai raid israeliani?

Dal corrispondente da Gerusalemme del Corriere della Sera Davide Frattini 

Come sono cominciati i disordini a Gerusalemme?
All’inizio di Ramadan, il mese più sacro per i musulmani, la polizia ha deciso di innalzare delle barriere attorno alla piazzetta a gradoni davanti alla porta di Damasco. È un luogo dove i giovani palestinesi si ritrovano alla fine del digiuno quotidiano. Adesso i comandanti spiegano che la mossa sarebbe dovuta servire a evitare assembramenti, gli analisti restano convinti che sia stata una cattiva idea. Le proteste contro le barricate sono la prima fiammella dell’incendio che sta divampando. Si sono estese all’area della Spianata delle Moschee dove gli agenti antisommossa hanno fatto irruzione nei giorni scorsi, hanno arrestato i dimostranti, sequestrato pietre e bastoni. Gli arabi si sono scontrati anche con i militanti di estrema destra che hanno marciato per le strade dopo che su TikTok sono circolati i video di assalti contro passanti ebrei. 

Qual è stata la prima risposta del governo israeliano? 
Sotto la pressione dei servizi segreti interni e dell’esercito, il premier Benjamin Netanyahu ha ordinato alla polizia di rimuovere le transenne davanti alle mura della Città Vecchia e di cercare di ridurre le tensioni. Proprio lunedì 10 maggio è caduto il Giorno di Gerusalemme, celebrato dai nazionalisti israeliani, e il corteo degli oltranzisti è stato deviato per evitare i punti di attrito con i palestinesi. La Corte Suprema ha anche rinviato la decisione sul possibile sfratto di una ventina di famiglie arabe che vivono nelle zone di Sheikh Jarrah e Silwan (qui ci sono state altre proteste) dopo che alcune organizzazioni di coloni hanno ottenuto dai giudici la conferma del diritto di proprietà sugli edifici: appartenevano a ebrei prima della nascita dello Stato d’Israele nel 1948, i palestinesi ci abitano da almeno sessant’anni. I disordini e gli arresti sono comunque continuati, 300 i palestinesi feriti in un solo giorno (quello di lunedì). 

Perché Hamas ha deciso di intervenire? 
Il movimento fondamentalista domina sulla Striscia di Gaza dal 2007, da quando ne ha tolto il controllo con un colpo militare all’Autorità palestinese. I capi dell’organizzazione sembrano voler cavalcare la rabbia palestinese e si ergono a protettori della Spianata, il terzo luogo più sacro per l’islam, venerato anche dagli ebrei perché vi sorgevano il primo e il secondo Tempio. Khaled Meshal, tra i leader di Hamas, proclama da giorni che la Terza Intifada è vicina: il lancio di razzi vuole dimostrare ai palestinesi di Gerusalemme Est e della Cisgiordania che una loro rivolta (questo significa intifada in arabo) sarà fiancheggiata da Gaza. 

Che ruolo gioca la crisi politica israeliana?
Gli israeliani hanno votato per quattro volte in un paio d’anni. Netanyahu – al potere senza interruzione dal 2009 – non è riuscito ad assicurarsi una maggioranza sufficiente a formare il governo. Dopo le elezioni del 23 marzo, ha ricevuto dal presidente Reuven Rivlin l’incarico di provare a mettere insieme una coalizione. Non ce l’ha fatta e il secondo tentativo è andato al centrista Yair Lapid. Che in queste ore sta trattando con pezzi della destra (tra rappresentanti dei coloni e fuoriusciti dal Likud, il partito di Netanyahu), con le formazioni della sinistra storica (i laburisti e Meretz) e stava dialogando con i deputati arabi israeliani per ottenerne l’appoggio esterno. Mansour Abbas, alla guida del gruppo islamico, ha già interrotto i negoziati, i bombardamenti su Gaza mettono in difficoltà anche i laici. Difficile pure per la destra ebraica giustificare un’alleanza con i pacifisti mentre si spara e le città israeliane sono bersagliate dai razzi di Hamas. Se Lapid dovesse fallire, è probabile che si torni al voto e in questo periodo Netanyahu resterebbe primo ministro ad interim. 

E le divisioni interne ai palestinesi? 
Il presidente Abu Mazen ha cancellato le elezioni parlamentari previste per la fine di maggio, l’ultima volta che i palestinesi avevano potuto scegliere i loro deputati è stata nel 2006, aveva vinto Hamas. Da allora – e soprattutto dopo il colpo di mano a Gaza – le fazioni restano divise: il Fatah di Abu Mazen (i discendenti ideologici di Yasser Arafat) controlla la Cisgiordania, i fondamentalisti spadroneggiano sulla Striscia. Che è rimasto l’unico esperimento portato avanti dai Fratelli Musulmani (da cui Hamas deriva). Così anche all’interno del movimento le strategie sono diverse: la cosiddetta ala militare guidata da Mohammed Deif è convinta che sia il momento della guerra, l’ex comandante Yahia Sinwar vorrebbe invece concentrarsi sulla gestione civile della Striscia per dimostrare che l’islam politico è in grado di governare. 

Quando ha presentato gli accordi di Abramo. Il presidente Donald Trump aveva proclamato: riconoscendo Gerusalemme come «capitale unica e indivisibile dello Stato d’Israele» abbiamo tolto la città dal tavolo delle trattative e i negoziati per un’intesa di pace saranno più semplici. 

Come dimostrano gli scontri di questo mese Gerusalemme resta al centro del conflitto israelo-palestinese. E tra le pietre contese della Città Vecchia le più contese sono quelle della Spianata delle Moschee/Monte del Tempio. La Sura 17 del Corano racconta della notte in cui Maometto fuggì sulla bestia mitologica chiamata Buraq alla «moschea più lontana» dove guidò in preghiera un gruppo di profeti prima di ascendere in cielo. Nel 691, quasi sessant’anni dopo la sua morte, il califfo Abd Al-Malik ibn Marwan diede ordine di costruire una moschea sulla roccia al centro del monte a 740 metri sul livello del mare. Nella tradizione ebraica quella roccia è il punto d’incontro tra il Cielo e la Terra, è la rupe a cui Abramo ha legato Isacco, è il basamento del Primo e del Secondo Tempio, che venne distrutto dai romani nel 70. È il Saladino — dopo aver ripreso la città agli ottantotto anni di dominio crociato nel 1187 — a fondare il Waqf, l’organizzazione islamica che gestisce i luoghi sacri. Più devoti che archeologi, questi guardiani oltranzisti hanno mantenuto l’incarico sotto gli ottomani, i britannici, i giordani e adesso gli israeliani, dopo che i quartieri arabi sono stati catturati ai giordani nella guerra dei Sei Giorni (1967). Lo status quo definito allora dal generale Moshe Dayan stabilisce che gli ebrei possano visitare l’area sacra ma non pregarvi, Israele è responsabile per la sicurezza della struttura. 

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Biden finora non ha preso una posizione precisa ma sugli scontri di Gerusalemme si è fatto sentire il Dipartimento di Stato che ha usato parole che di solito l’amministrazione americana non utilizza. Nessun comunicato ufficiale ma la portavoce del segretario di Stato Blinken ha espresso «grande preoccupazione» per le azioni israeliane e per «l’eventuale sgombero di famiglie palestinesi dai quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah, molte delle quali vivono in quelle case da generazioni». Mentre una lettera di deputati indirizzata a Blinken ha chiesto di esercitare pressione diplomatiche per impedire gli sgomberi e ribadire quello che il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu già prevedono: «Gerusalemme est è parte della Cisgiordania ed è sotto occupazione militare israeliana», realtà che rende «illegale la sua annessione da parte di Tel Aviv». Un linguaggio esplicito e diretto come forse non era mai venuto dai deputati americani. 


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