V di Pasqua – Gv 15,1-8: "Rimanete in me, senza potete fare il nulla"

 


Dopo gli evangeli delle apparizioni, la liturgia fa spazio a due immagini che Gesù offre di sé stesso: “Io sono il buon (bello/vero) pastore” e, oggi, “Io sono la vera vite”. In Giovanni sono 7 le volte che Gesù si presenta con “Io sono” (che corrisponde al Nome di Dio in ebraico) seguito da un articolo determinativo a dire che lui è il vero, cioè l’unico pastore, la vera vite (porta-via-verità-vita e pane, le altre immagini che Gesù applica a sé stesso in questo modo).

Quelle del pastore e della vite ci portano al cuore della sua esperienza, che l’Evangelo ci invita a seguire e a far nostra passo dopo passo, fino al dono della vita.

La scorsa domenica il brano era cadenzato dall’insistere sulla reciprocità esistente tra il pastore e le pecore, nel fatto che non solo il pastore offre la vita per le pecore, ma le pecore sono la vita del pastore e, questo, è il legame tra Dio e coloro che pongono la loro fiducia in lui.

Oggi l’immagine della vite e dei tralci viene ritmata dal quel “rimanete in me” come i tralci alla vite, cioè dall’esigenza per il discepolo di rimanere “attaccato” a Gesù. Se il pastore indica un itinerario da seguire che l’uomo può decidere di seguire o meno, qui l’alternativa non c’è: se ci si stacca dalla vite, non si ha più la linfa della vita e si insterilisce. 

Il Padre pota o, meglio, “purifica” i tralci perché così possano portare più frutto. La sua è una azione continua lungo tutta la nostra vita: è questo che ci fa diventare discepoli del Figlio; non lo si è mai sufficientemente ed è un lento proseguire, faticoso e insieme gioioso. Tutti siamo chiamati a subire potature, per diventare essenziali e far emergere il meglio che siamo chiamati ad essere: i nostri frutti. Qui risuona quell’altro invito: a spogliarci dei nostri progetti per portare a compimento l'opera di creazione del Signore secondo il suo amore, fino a lasciare che sia Lui a vivere e ad operare attraverso di noi, come la linfa che corre dalla vite ai rami nutrendoli. Per questo Gesù può dire “voi siete già mondi per la parola che vi ho annunciato” perché la Parola sta già agendo quell’opera di sfoltimento, di essenzializzazione da parte del Padre. Se non lo si accetta ci si trova lontani dalla vita e saremo come i tralci che si seccano quando staccati dalla vite.

C’è poi una frase sulla quale fissare l’attenzione: “Senza di me voi non potete fare nulla”. Il testo in realtà dice: “perché senza di me potete fare il nulla”, il vuoto; cioè la vita non troverà il suo senso, diventerà insignificante, tradendo quel Signore che ci ha fatto capire che la nostra storia è la sua storia, che la nostra vita è la sua vita. Vivere senza di lui, è rendere il nulla quella vita per la quale Dio ha speso la sua esistenza. 

Gesù ci dice oggi ancora: “se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà dato” - perché io ho usato la vita perché voi portiate molto frutto e diventiate i miei discepoli – “In questo è glorificato il Padre mio”. 

Ogni vita che, anche se inconsapevolmente, viene vissuta facendo fluire la linfa della Vite, porta frutto anche se è di un altro recinto, perché anche per lui Dio ha speso la sua vita prendendosene cura. Sono questi frutti, che sono impossibili da nascondere, la gloria del Padre, questo dobbiamo osare chiedere e ci sarà dato.

(Gianni)

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