È stata la prima organizzazione fondata dai sopravvissuti ai campi di sterminio, combatte l’antisemitismo da ben 74 anni e non sta per niente dalla parte di “Bibi” Nethanyau. L’Unione dei Perseguitati dal regime nazista (Vvn) è la più antica istituzione antifascista tedesca, con una lista di membri illustri da enciclopedia della Resistenza: da Hannelore Willbrandt, militante della Rosa Bianca insieme ai fratelli Scholl ai tempi di Hitler, alla Pantera Nera Mumia Abul Jamal, prigioniero degli Usa dal 1981. Ieri non sono stati zitti di fronte all’oppressione di ebrei, rom e musulmani; oggi non tacciono di fronte ai crimini commessi in Palestina.
«La comunità ebraica tedesca non è responsabile della politica di Israele, quindi gli attacchi contro le sinagoghe sono atti di antisemitismo da condannare». L’Achtung preventivo campeggia sui social del Vvn insieme alla video-testimonianza dell’indicibile orrore di Abu Suhiab, padre di tre bambini di 5, 8 e 14 anni assassinati sabato scorso dagli F-16 di Tel Aviv.
L’equidistanza per il Vnn è solo questa. Mentre la sua idea di libera informazione su ciò che accade in Medio Oriente coincide con l’analisi a tutto tondo di Tomer Dotan Dreyfus, lo scrittore israeliano-tedesco che fra pochi giorni rappresenterà ufficialmente la Germania alla “Jewish Book Week” di Londra. Di pubblico dominio (sul sito freitag.de) il suo «Avviso agli spettatori»: la corrispondenza da Tel Aviv che a Berlino nessuno sembra volere leggere.
«Abbiamo i cartelli con scritto “ebrei e arabi rifiutano di essere nemici!”. Di fronte a noi la sede del Likud su cui pende ancora lo striscione elettorale: “Molti politici, un solo...”; è sempre difficile tradurre leader in tedesco, ma la foto è di Netanyahu. La polizia è tranquilla: siamo ebrei hipster, mica palestinesi. Alcuni uomini ci gridano: “siete malati” e “le vite di migliaia di palestinesi non superano quella di un singolo ebreo!”. Una ragazza risponde: “Fra tutti i popoli, proprio noi non abbiamo il diritto di dirlo”».
Fin qui la cronaca dei fatti, che pure già restituirebbe la complessità del malessere del popolo che ha subito la banalità del male. Ma Dreyfus continua: «A leggere i media tedeschi viene da pensare che 7 morti israeliani, indubbiamente terribili, valgano più di 100 palestinesi. Ma gli attacchi missilistici su Israele sono riportati più dei raid aerei su Gaza. È inquietante: non che non sia giusto denunciare i razzi – sono dovuto correre al rifugio in piena notte per questo – ma il focus significa che l’idea centrale è sempre la supremazia».
È il punto chiave per capire la logistica dell’odio che Dreyfus spiega esemplarmente. «Sui siti tedeschi dilagano le accuse contro i palestinesi: “Si nascondono dietro i civili”. Come se a Gaza ci fosse altra possibilità, come se la principale base dell’esercito israeliano non fosse nel mezzo di una città molto popolata. Di sicuro, solo che tutti sono disposti a sacrificare i bambini». È l’unico dato certo di questo conflitto dalle mille risposte e troppo poche domande.
«Perché in Germania si vuole considerare che i palestinesi contano meno di noi? Forse, perché ci sono rifugiati anche lì. E se piangiamo i morti di Gaza allora vale anche per chi lasciamo annegare nel Mediterraneo». Sillogismo impeccabile, peraltro all’attenzione di tutti i governi della Fortezza Europa.
A Berlino gli slogan contro gli ebrei scanditi da (pochi) ultras alla manifestazione pro-Palestina di sabato scorso hanno alimentato il timore per il crescente antisemitismo, che per Dreyfus è giustificato ma «c’è in tutte le forme e, secondo la polizia, molto più tra i tedeschi bianchi di estrema destra. Lo Stato sembra sopraffatto di fronte al fenomeno che è incistato nella Bundeswehr come nei parlamenti dei Land».
Due mezzi e due misure, come mai? «Il lutto per i morti ebrei nella percezione collettiva tedesca è legato alla lotta contro l’antisemitismo, quindi è più facile se i morti palestinesi sono anche antisemiti. Eppure se la Germania fosse un vero amico di Israele avrebbe denunciato per tempo le politiche di discriminazione di Netanyahu. La frase “Israele è sotto tiro” induce a credere che siamo un’unica entità politica, invece dopo 12 anni di Netanyahu la società è lacerata, piena di odio e sangue, mentre la destra israeliana è più forte che mai: Itamar Ben Gvir, che minacciò pubblicamente di morte Rabin, oggi dalla Knesset invita i suoi seguaci a picchiare gli arabi».
Quindi Dreyfus riassume la realtà quotidiana dei palestinesi nel Paese che l’Occidente considera l’unica democrazia del Medio Oriente. «Quando sono vittime di un crimine la polizia israeliana se ne frega, soffrono più degli ebrei per la povertà e le loro scuole ricevono meno fondi pubblici. E mentre vengono sfrattati sulla base di contratti di due secoli fa, non sono autorizzati a tornare nelle case da cui sono fuggiti nel 1948».
di Sebastiano Canetta (in “il manifesto” del 19 maggio 2021)
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