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III Domenica dopo Natale: Mc 1,14-20

Non c'è tempo da perdere, è urgente lasciare le reti che ci legano e tirar fuori dal mare della morte gli uomini



Il tempo di Giovanni il Precursore si è compiuto, ci ha accompagnato dall’Avvento ad oggi e lascia il passo a Gesù. Di fatto come in 1,1, Marco in questa pagina ci propone un nuovo “inizio”, quello di un cammino che ci condurrà alla scoperta di Gesù, in cosa consista la sua sequela e ci accompagni alla confessione di fede sotto la croce. Lo fa secondo il suo stile che cadenzerà l’intero suo Evangelo, presentandoci quasi per incuriosirci dello sviluppo che seguirà nella narrazione, un “sommario” diviso in due parti. 

 

La prima parte riguarda Gesù:

Il tempo è compiuto” inteso come una serie di vasi; una volta che uno si riempie, si inizia a versare sul seguente fino al suo completamento e così via.

Il regno di Dio si è avvicinato” non in maniera generica ma con modalità concretissime si è posto “gomito a gomito” con noi attraverso la venuta di Gesù.

Convertitevi”, cambiate completamente direzione facendo una inversione di 180° nel modo di pensare e di riflettere.

Credete nell’Evangelo” non con una fredda adesione intellettuale perché la gioiosa notizia è Gesù da accogliere nella nostra vita e seguire condividendo e aderendo al suo modo di essere ed agire in ogni istante. Per questo viene chiesto di “credere nel Vangelo” coinvolgendoci dentro completamente e non “al Vangelo” in modo generico e superficiale ...

 

La seconda parte riguarda noi, i suoi discepoli. Cosa significa essere alla sua sequela Marco ce lo fa comprendere fin da subito sottolineando che la chiamata avviene “lungo il mare” che, nel linguaggio biblico, simboleggia il male, la morte, le potenze infernali. L’invito è chiaro: per uscirne è necessario modificare capovolgendolo il nostro modo di vivere. L’iniziativa non parte dall’uomo, ma da Dio che ci invita a fare nostro il suo modo di essere, di agire e non semplicemente di ascoltare l’insegnamento di un maestro seppure assai prestigioso. Se guardiamo l’unica altra chiamata che troviamo nelle Scritture ebraiche, quella che ha fatto Elia ad Eliseo, per quest’ultimo il seguirlo ha significato un “entrare al servizio di …” (1Re 19,21) riempiendo l’intera sua esistenza. La sequela allora è un programma di vita che non lascia nemmeno uno scampolo di tempo vuoto per fare altre cose, è la donazione totale di se stessi ad un progetto proposto che, liberamente accolto, si persegue fino in fondo.

È evidente che a Marco non interessa la cronaca, bensì il sottolineare la forza con la quale la chiamata ci raggiunge lasciando quasi nullo lo spazio per poterla rifiutare. Non si tratta di una limitazione alla nostra libertà, ma la libera accettazione di un totale coinvolgimento nella storia della salvezza con le medesime modalità che possiamo riscontrare sono state vissute da Abramo come Paolo, passando per Isacco, Giuseppe, Mosè, Isaia, Geremia, Giona solo per citare alcuni nomi. 

All’inizio può apparire quasi come una violenza sottoforma di una promessa alla quale non si riesce a resistere; Geremia l’esprime chiaramente: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso (…) Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7-9).

Però l’odierno Vi farò diventare pescatori di uomini” a ben guardare non è una promessa, bensì l’affidamento di una missione da svolgere: tirare fuori gli uomini da una realtà nella quale possono solo morire: quell’acqua nella quale si può solo affogare: la logica del possesso, del trionfo dell’io, della mondanità, della forza prevaricatrice. Tirarli fuori da queste acque significa introdurli nel Regno di Dio, il lieto annuncio che si è fatto vicino: Gesù e, seguendolo, possano così essere realmente uomini secondo il progetto del Padre.

Non c’è tempo da perdere, chi ama il fratello deve tirarlo fuori da una realtà di morte e, per questo, viene sottolineato con forza come Simone ed Andrea “subito lasciarono le reti e lo seguirono” e poco dopo Gesù “vede” Giacomo e Giovanni e “subito li chiamò”.

Questo “vedere” è quel “fissare lo sguardo su …” incontrato nell’Evangelo di domenica scorsa (Gv 1,35-42) che Gesù oggi posa su quattro uomini, due dei quali portano un nome greco e gli altri due uno ebraico, a dire che la chiamata è per tutti, di qualsiasi origine siano.

Le reti da lasciare sono quei legacci che ci trattengono nel mondo vecchio e ci impediscono di andare lontano, di seguire fino in fondo Gesù: pigrizie, comodità, abitudini, tradizioni, invidie, attaccamento al denaro. Sono quelle realtà che rendono l’uomo “né freddo né fervente” e per questo “ti vomiterò dalla mia bocca” dice con durezza Cristo alla Chiesa di Laodicea (Ap 3,16-16). Ma al nostro fianco abbiamo il dono della sua forza che non ci abbandona mai e ci affianca nel riuscire ad affrancarci dalla rete. 

(BiGio)


1 commento:

  1. Commento chiaro, comprensibile e profondo che suscita il desiderio di scoprire la propria chiamata a seguire il Signore. Il "lasciare" che a noi pare troppo faticoso, è la condizione per allargare, aprirsi ad una libertà e ad una storia d'amore tra noi e il Signore che si allarga nella nostra vita perché l'amore non si contiene, straborda e si apre a chi incontriamo cambiando il nostro impianto di pensiero e azione. Grazie infinite. Maria

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