Sono molti i lavori, opera di artisti e architetti, che ricordano la Shoah. Il memoriale di Peter Eisenman a Berlino lo fa attraverso l’astrazione e al di là di ogni forma
La storia della Shoah è diventata in buona misura monumento. Nel rarefarsi del ricordo dei sopravvissuti, giunti – se ancora in vita – all’ultima stazione, concediamo alla reminiscenza il pezzo d’arte memoriale, che in sé contiene documento ed emozione. Berlino, come capitale tedesca, ma soprattutto come capitale del Terzo Reich nazista, è ormai disseminata nel suo tessuto di decine di monumenti in memoria delle vittime dei lager.
Così come i nazisti tenevano i loro prigionieri tra i recinti in balia di sé stessi, nella distinzione gerarchica ottenuta coi “triangoli colorati”, oggi quelle minoranze sono ricordate in ben precipui memoriali, ognuno dei quali ci racconta del destino di ciascun colore. Che esperienza ci restituiscono questi luoghi? Possono veramente aiutarci nella profonda comprensione dell’abissale sofferenza di quelle vittime? Quando la memoria passa attraverso il monumento, ci troviamo davanti a un postulato: ed è tutta una questione di metodo.
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