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Maria Madre di Dio, 1 gennaio 2024 - Lc 2, 16-21

Maria custodiva e meditava tutto quanto veniva detto del bambino, cioè esaminava, interpretava, metteva insieme i fatti, li collegava per coglierne il senso vero, pieno; per scoprire in essi il filo conduttore del realizzarsi del progetto di misericordia di Dio. È la proposta di oggi per noi: fare altrettanto.


Domenica Maria e Giuseppe hanno suggerito anche a noi di tenere come punto di riferimento del nostro vivere la Scrittura; Anna ci ha mostrato che il rimanere fedeli nonostante tutto porta a saper riconoscere la salvezza che viene a noi; imitare Simeone significa saper rimanere vigili nell’attesa, guardando sempre avanti, aperti alle novità del futuro.

 

L’Evangelo di oggi, primo giorno dell’anno civile, riprende queste indicazioni e, difronte all’”Eccomi” di Dio del quale abbiamo fatto memoria a Natale, sottolinea altri aspetti conseguenti a quelli riscontrati in Simeone e Anna concretizzandoli attorno a dei verbi: udire, andare, vedere, constatare, rimanere stupiti, gioire, custodire, meditare. 

Udire e stupirsi sono riferiti a tutti quelli, compresi i genitori, che ascoltavano il racconto dei pastori di quanto era stato detto loro del bambino. Stupore che, nei primi capitoli di Luca, sfocia sempre in una gioia incontenibile. 

Ma al centro della pericope di oggi sta un atteggiamento proprio di Maria che “da parte sua custodiva tutte queste cose (quello che i pastori riferivano) meditandole nel suo cuore”.  Il custodire è una virtù tipica dell’ebraismo che sfocia nel fare memoria di tutti gli eventi passati. Israele, piuttosto che interessato a pensare il futuro, ha sempre diretto maggiormente la sua ricerca verso la comprensione da dove viene e far così diventare il suo cuore un ricettacolo, un tabernacolo degli eventi della sua storia per poterli rivivere. Questo significa fare memoria che è tutt’altro dal ricordare un evento passato ma che rimane là rinchiuso. Un solo esempio per capire: nella celebrazione dell’Haggadah Pasquale dicono al presente indicativo “noi, con i nostri padri oggi siamo usciti dall’Egitto”. Anche noi nella Messa siamo portati a rivivere l’evento unico della morte-risurrezione di Gesù. Per farlo realmente però non basta semplicemente “tenere a mente” quanto abbiamo udito, quanto ci è stato detto, è necessario avere la capacità e la costanza di saperlo meditare. 

Questo verbo in greco è molto preciso e articolato perché significa contemporaneamente l’attività di esaminare, interpretare, mettere insieme i fatti, collegarli, coglierne il senso vero, pieno e, per i credenti, scoprire in essi il filo conduttore del realizzarsi del progetto di misericordia di Dio. È questo che l’Evangelo di oggi desidera porre alla nostra attenzione chiedendoci di far nostro questo stile e ce lo evidenza in Maria che è immagine della Chiesa.

L’Evangelo ci dice che anche Maria e Giuseppe sono colti di sorpresa, rimangono stupiti, più che altro è perché non comprendono fino in fondo cosa possa significare per loro e il loro figlio l’annuncio degli angeli riferito dai pastori e prima ancora dall’Angelo a Maria, ma non lo rifiutano, non si chiudono ripiegandosi sulla loro realtà, anzi si aprono e cercano di capire. È l’atteggiamento di Anna e Simeone che ci viene riproposto.

Per questo l’Evangelo di oggi si chiude con il ricordo della circoncisione e dell’imposizione del nome indicato dall’Angelo al figlio di Maria e Giuseppe: Gesù che significa “Il Signore salva”. In particolare nella cultura semitica dare il nome significava indicare il ruolo al quale era chiamato il bambino, a chi doveva assomigliare, l’agire di chi doveva interpretare. È per questo che il nome lo indica l’Angelo e non viene scelto dai due genitori dei quali avrebbe invece dovuto prendere il patronimico. 

 

È significativo come nell’Evangelo di Luca raramente Gesù viene chiamato per nome, sempre e solo da lebbrosi, ciechi, indemoniati, il ladro che patisce la medesima pena capitale al suo fianco, sono tutti degli emarginati come i pastori che rappresentano tutti i poveri, gli esclusi, quelli che il mondo considera i più lontani da Dio perché impuri. Ai pastori viene dato “un segno” che non promette e non è nulla di straordinario, ma si sentono interrogati e percepiscono l’urgenza di andare a vedere, la medesima urgenza che ebbe Maria quando seppe che Elisabetta aspettava un bambino. In ambedue i casi esplode la gioia e la lode a Dio che la tradizione ebraica descrive come il compito specifico dei sette angeli del servizio al trono divino. 

Ecco il messaggio per noi: gli ultimi sono elevati al grado più alto, l’opera di salvezza inizia da loro, dai rifiutati, dai perseguitati, da chi subisce ingiustizia, da chi è sotto le bombe di coloro che si fanno la guerra, dagli sconfitti della storia umana, da chi cerca una vita umana migrando senza portare nulla con sé se son la propria speranza e l’apertura a un mondo, ad una realtà diversa dove la vita sia degna di essere vissuta dignitosamente, possibilmente nella fraternità.

(BiGio)

 

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