Fratelli e figli dilettissimi, vorrei aprirvi tutto il mio animo, confessarmi a voi, davanti al Signore e alla Vergine, della quale la liturgia di oggi con tanta insistenza invoca l’intercessione. Da più giorni, il Messaggio del Santo Padre mi sospinge a scrutare la mia coscienza e la mia vita. Mi chiedo quale è stata la testimonianza di pace mia personale e dell’intera nostra comunità ecclesiale. Mi domando soprattutto fino a che punto possiamo avere talvolta inclinato a vedere solo in altri la causa dei disordini e dei conflitti ed eventualmente a giudicarli come fomentatori di guerra e perturbatori della pace, piuttosto che esaminare noi stessi ed eventualmente preoccuparci di togliere da noi le pietre d’inciampo sul cammino della pace e le ragioni di scandalo, forse inconsapevolmente offerte ai credenti e ai non credenti.
Piego le ginocchia davanti al Signore, che giudicherà la mia vita e il mio episcopato, e mi chiedo se quello che ho detto sinora può bastare o se ancora non vi sia qualche cosa da aggiungere, per orientare ancor meglio le nostre anime a pensieri e a opere di pace, proporzionate alla estrema gravità del pericolo e dell’’impegno storico che, variamente ma solidalmente, grava su tutti e su ciascuno. Mi vado convincendo sempre più che il compito della Chiesa a questo riguardo è duplice, consta di due elementi complementari e inscindibili: veramente «occorre adempiere l’uno, senza omettere l’altro».
Da una parte, la Chiesa non deve stancarsi di diffondere, spiegare e rispiegare l’insegnamento generale cristiano sulla pace; deve anzi approfondire ancora più le radicali esigenze del Vangelo circa la rinunzia alla violenza; deve formare le coscienze; soprattutto deve metodicamente guidare i credenti e rispettosamente aiutare i non credenti a ricomporre in sé stessi quella pace personale e interiore che l’uomo moderno poco conosce e «che è – secondo le parole di Paolo VI – la radice profonda e feconda della pace esteriore, politica, militare, sociale, comunitaria» (Discorso di Natale).
Dall’altra parte, la Chiesa non deve far mancare il suo giudizio dirimente – non politico, non culturale, ma puramente religioso – sui maggiori comportamenti collettivi e su quelle decisioni supreme dei responsabili del mondo, che possano coinvolgere tutti in situazioni sempre più prossime alla guerra generale e che possano, a un tempo, confondere le coscienze proponendo false interpretazioni della pace o false giustificazioni della guerra e dei suoi metodi più indiscriminatamente distruttivi.
Mi sento in obbligo di impegnare me stesso e tutta la nostra comunità ecclesiale – più di quanto sinora non si sia fatto – in un più largo e più approfondito sforzo catechetico per dare ai nostri ragazzi e ai nostri giovani in dimensioni nuove una coscienza evangelica dell’universale fraternità in Gesù, del rispetto assoluto della dignità di ogni uomo redento da Cristo, del rifiuto radicale di ogni forma di violenza, interiore od esteriore, privata o collettiva.
Dicevo un anno fa che avrei voluto essere sempre più e soltanto un servitore dell’Evangelo, e che avrei voluto ormai lasciarmi incontrare solo col Vangelo sulle labbra e nell’anima da tutto il popolo di Bologna. Ora vorrei precisare: in quest’anno che si inizia col Messaggio del Papa a tutto il mondo, vorrei essere un servo dell’Evangelo di pace, vorrei che tutta la Chiesa non fosse altro che un unico generale annunzio dell’Evangelo di pace a tutti, ma specialmente ai giovani, perché tutta la nostra gioventù possa divenire — malgrado tutte le tentazioni, tutti i miti e tutte le compromissioni di guerra — una forza grande, spirituale e storica, nei nostri giorni «operatrice di pace» e perciò, secondo la promessa delle Beatitudini, veramente «figlia di Dio»: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
L'intera omelia a quelo link:
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