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I ragazzi ormai più adulti e più responsabili di noi

Li chiamavamo «zombetti». Era una definizione inventata da un insegnante, Livio Marchese, che sulla rivista «Gli asini» del gennaio 2020 aveva scatenato qualche protesta. Non era un termine felice, ma fotografava abbastanza bene la diffusa opinione riduttiva (se non dispregiativa o apocalittica) nei confronti dei «nativi digitali». Sono passati due anni e ora gli «zombetti», «creature liminali... poveri esserini inclassificabili, incapaci di distinguere la realtà dalla finzione, il bene dal male, analfabeti culturali ma soprattutto etici...», si meritano un elogio: hanno attraversato la pandemia, hanno accettato di rimanere chiusi in casa per mesi, hanno indossato le mascherine, si sono vaccinati, hanno rispettato le regole persino più degli adulti. E adesso, di colpo, quando pensavano finalmente di essere scampati al virus, si ritrovano atterriti dalla guerra e per di più con la minaccia della bomba. 


I loro padri e le loro madri con la bomba avevano convissuto durante la Guerra Fredda, fino a prendersene gioco: chi ha dimenticato i giganteschi Giganti che cantavano «Noi non abbiamo paura della bo-omba atomica-tomica-tomicaaaa...». Era il 1966. «Con gli sguardi alti verso il cielo aspettiamo un giorno nuovo che oscuri il passato...». Il passato sembrava oscurato e invece si ripropone con tanto di bomba atomica-tomica-tomicaaaa! Parola impronunciabile. L’altro giorno da un gruppetto di giovani in gita in montagna, una ragazza diceva: «Chissà se farò in tempo a festeggiare la mia laurea prima che ci cada addosso la bomba...». Esagerazione? Certo, anzi probabilmente. Nessuno dei suoi amici ha reagito ridendo, lo stato d’animo che aleggia è quello. Non hanno esperienza nemmeno della parola «bomba», figurarsi se hanno voglia di scherzarci sopra. Dopo due anni di purgatorio, l’inferno. Chi glielo spiega? Sono angosciati e noi non sappiamo cosa dire, disarmati, senza parole. E ora dopo aver protestato sulla scuola, per fortuna le parole le trovano loro, gli «zombetti», ricominciando a protestare contro la guerra. Li abbiamo visti scendere in piazza, erano duemila a Roma, a sventolare le bandiere della pace come noi non abbiamo mai fatto: NO WAR, Esistere = Resistere eccetera. 

Incapaci di trovare una giusta via di mezzo tra proteggerli troppo e snobbarli, non ci resta che ammirarli e rispettarli come non abbiamo mai fatto, perché hanno le loro stramaledette ragioni per scendere in piazza e farsi sentire. Continuano forsennatamente a smanettare su TikTok, ma poi ci stupiscono: occupano e autogestiscono e protestano non per motivi astrattamente ideologici ma per ridiscutere l’alternanza scuola-lavoro dopo aver avuto due compagni morti, per chiedere investimenti dignitosi nella scuola, per avere strutture adeguate, spazi ampi e sicuri, per ottenere un’assistenza psicologica nella consapevolezza della propria fragilità, perché si finisca di valutare il loro rendimento con i decimali e a volte con i centesimi nei voti. Non è detto che abbiano sempre ragione (per esempio, qualche dubbio nasce sulla battaglia contro la seconda prova scritta), ma avevano ragione, due settimane fa, nel far sentire la loro voce dopo tanta frustrazione silenziosa. Hanno ragione al quadrato adesso a protestare non contro il destino ma contro la follia della guerra che coinvolge i loro coetanei vicini più che mai e che potrebbe coinvolgere tutti.

Nel giro di qualche mese gli «zombetti» sono diventati più adulti e più responsabili di noi: gli rimproveravamo di non capire che cosa avevano subìto i loro nonni e bisnonni che avevano vissuto la guerra? Eccoli serviti. Eccoci serviti. Ci volevano il Covid, Putin, l’invasione russa e la minaccia della bomba per cambiare loro e per cambiare il nostro sguardo nei confronti dei nostri figli: non sono più le creaturine da sfottere a prescindere o da difendere a prescindere. 

Abbiamo scoperto ciò che non potevamo immaginare, ora che questi ragazzi hanno visto e continuano a vedere da vicino la sofferenza, sentono il dolore, la morte. E sappiamo che di fronte alla minaccia che incombe sono capaci di reagire: i nostri figli ipercinetici o ipersdraiati hanno accettato le regole, hanno fatto rinunce che sarebbero state impensabili per i diciott’anni dei loro padri e delle loro madri: vietato uscire la sera, abbracciare l’amico, andare a ballare, cercare il primo amore, baciarlo e toccarlo. Ci voleva una bella forza per rinunciare a tutto questo. E adesso ci vuole una bella forza per sopportare da un giorno all’altro l’idea di una guerra vicinissima, l’idea tabù della bomba. Ricordiamoci che gli «zombetti»sono incredibilmente forti, ma anche molto fragili, a giudicare dalla crescita di patologie psichiche anche gravi, crisi di panico, ansia e depressione. Gli esperti non finiscono di dirci che durante la pandemia sono raddoppiati i disturbi dello sviluppo: anche per questo la psicoterapia è entrata nel paniere Istat, tra il tampone e le mazzancolle, anche per questo il bonus psicologo sarà utile. Intanto, non può che essere incoraggiante vederli protestare, pensare al loro (e al nostro) futuro, immaginare anche ingenuamente un mondo diverso. Sventolare le bandiere della pace con e per i coetanei ucraini e i russi. Urlare insieme. E magari, diversamente dai loro genitori: «Noi abbiamo paura della bo-omba atomica-tomica-tomica!!!».

In un bellissimo intervento su «Nuovi Argomenti», lo scrittore Marco Lodoli, che insegna da decenni in un istituto tecnico di Roma, scriveva tempo fa che osservando i suoi allievi ha capito che sono cambiati, almeno un po’: «È vero, hanno perduto mille lezioni scolastiche, hanno sonnecchiato durante la dad, spesso hanno tenuto i libri chiusi, però hanno imparato la cosa più importante, quasi senza accorgersene hanno fatto spazio nei loro pensieri all’idea della morte. In fondo è sempre stato così, ma questa verità è stata coperta e dimenticata per tanto tempo, la vita sembrava una giostra luminosa che non si ferma mai, un giro, un altro giro, fino allo stordimento (...). Ci si può illudere di vivere tra mille menzogne felici, ma ciò che conta è ospitare il principio della finitezza umana...». Senza dimenticare che quello stordimento è il modello di vita allegramente trasmesso agli «zombetti» dagli enormi «zomboni» che sono, spesso, i loro genitori. 

 

(Paolo Di Stefano in CorSera del 9 marzo)

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