Così si trasforma il ruolo del prete e l’omelia cambia

L’epoca della secolarizzazione sancisce il tramonto della figura del sacerdote come mediatore del sacro e dell’accesso a Dio, separato dal resto del popolo, apre lo spazio per cancellare la separazione tra clero e laici, tra sacerdoti e plebs apre lo spazio a un nuovo protagonismo dei laici, le donne anzitutto, perché, pur vivendo in un momento in cui tutto pare procedere come se Dio non ci fosse, è sempre possibile essere inattesi testimoni dell’incontro con Lui.

Vittorio Mencucci presbitero della diocesi di Senigallia, parroco di San Giovanni Battista di Scapezzano, teologo di frontiera. Suoi libri: Ma liberaci dal... sacro. Vivere il Vangelo nella modernità (2012) e Donna sacerdote? Ma con quale Chiesa? (2017)

L’immagine di papa Francesco che prega, solo, nella piazza di San Pietro deserta la notte di Pasqua del 2020, nel pieno della pandemia, implorando Dio perché non abbandonasse l’umanità in balia della tempesta, ha esercitato un forte impatto emotivo sull’opinione pubblica; allo stesso tempo, ha in qualche modo relegato in secondo piano il fatto che, per la prima volta in due millenni di storia, i cristiani nella loro massima parte non si fossero riuniti attorno ai loro sacerdoti per celebrare e annunciare al mondo la Resurrezione del Salvatore. Visto da un’altra prospettiva, un tale evento, inaudito sino ad allora, ha sicuramento concentrato l’attenzione (e forse le preghiere) sul Pontefice, rendendo manifesta la sua funzione di «capo» della Chiesa e, al tempo stesso, di «servo dei servi» di Dio; ha però svelato il ruolo ormai marginale, se non residuale, degli altri sacerdoti — di ogni ordine e grado della gerarchia ecclesiastica — nelle società occidentali, persino rispetto alle necessità reali del loro gregge.

«Credevamo di essere noi gli eroi che sacrificano tutto, per annunciare il bene supremo, l’unum necessarium, ai nostri fratelli. Abbiamo dovuto prendere atto che l’applauso della società è tutto ed esclusivamente per i medici e il corpo sanitario. Di noi, quelli che credevano di essere i grandi benefattori, non si è preso cura nessuno: gli uomini di oggi ci hanno considerati del tutto marginali rispetto alla loro vita. Non è un caso fortuito. (…) Nell’epoca della secolarizzazione è l’immanenza che interessa, e nell’immanenza il primato spetta al corpo che comporta la vita e tutto ciò che è godimento e gioia». Chi scrive queste parole in "Perché cambiare. Recuperare l’uguaglianza tra i battezzati nella comunità delle origini" (Il pozzo di Giacobbe, pp. 152, e 13) è Vittorio Mencucci, ordinato nel 1961, l’anno precedente l’apertura del Concilio Vaticano II, un sacerdote che ha quindi vissuto il progressivo sfaldarsi del tessuto sociale e culturale, ancor prima che religioso, che vedeva al suo centro la figura e il ruolo del presbitero, in Italia come negli altri Paesi di tradizione cattolica. Eppure, il suo bilancio non è negativo e le sue riflessioni non prive di speranza.

L’epoca della secolarizzazione sancisce il tramonto della figura del sacerdote come mediatore del sacro e dell’accesso a Dio, separato dal resto del popolo, della plebscristiana, ma apre lo spazio per accompagnare gli uomini e le donne alla ricerca di un significato per le loro esistenze, nel momento in cui hanno a disposizione altre risorse e strumenti (la scienza, il benessere materiale, e così via) per il soddisfacimento delle loro necessità pratiche. In una simile prospettiva, antiche tradizioni e nuove modalità dell’esercizio pastorale si possono combinare tra loro. Nell’epoca di internet e dei social media, paradossalmente, la vecchia omelia, ad esempio, può conservare il suo valore e la sua efficacia, perché consente di comunicare e guardarsi in faccia tra persone che si conoscono e si riconoscono nella loro specifica identità, personale e comunitaria, quando si riuniscono per celebrare l’Eucaristia.

Allo stesso tempo, cancellare la separazione tra clero e laici, tra sacerdoti e plebs apre lo spazio a un nuovo protagonismo dei laici, le donne anzitutto, perché, pur vivendo in un momento in cui tutto pare procedere come se Dio non ci fosse, è sempre possibile essere inattesi testimoni dell’incontro con Lui, «come senso e valore di ciò che stiamo vivendo, come libertà e scelta d’amore».

(Marco Rizzi)

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