Il conflitto in corso in Ucraina tra popolazioni slave russe e ucraine, queste ultime appoggiate da una coalizione tribale di nazioni nell’Europa subscandinava, non ha messo in evidenza soltanto la fragilità della pace nel subcontinente devastato dalla pandemia. Ha svelato anche una squallida sfumatura di eccezionalismo razzista con cui molte persone europee e di discendenza europea tendono a guardare a se stesse.
È stato impossibile non accorgersi dello shock, all’idea che tutto questo potesse succedere in Europa, mostrato dai giornalisti caucasici che stanno raccontando la guerra scatenata dall’invasione della Russia con il pretesto di sostenere gli alleati etnici nelle enclave tribali di Donetsk e Luhansk, riconosciute come repubbliche indipendenti.
“Sono così simili a noi. Ecco perché è così scioccante… La guerra non è più qualcosa che colpisce popoli poveri e lontani. Può accadere a chiunque”, ha scritto Daniel Hannan sul Telegraph, nel Regno Unito. “Pensate, siamo nel ventunesimo secolo, siamo in una città europea, e si lanciano missili come se fossimo in Iraq o in Afghanistan”, si lamentava un commentatore alla tv francese.
Inviato a Kiev, nella capitale ucraina, il corrispondente della rete statunitense Cbs Charlie D’Agata ha dichiarato che l’Ucraina “non è, con il dovuto rispetto, un posto come l’Iraq o l’Afghanistan, in guerra da decenni… Questa è una città relativamente civilizzata, relativamente europea – devo stare attento alle parole che uso – dove non ti aspetteresti né spereresti mai che possa accadere qualcosa di simile”. In seguito si è scusato. Queste reazioni scandalizzate naturalmente con sono una novità.
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Vale la pena notare che quando i giornalisti, sconvolti nel vedere il continente puro immergersi in un fango che ritenevano essere riservato unicamente al resto dell’umanità, si degnano di accennare alle posizioni contraddittorie sui richiedenti asilo, lo fanno solo incidentalmente. Sembra che la parola “razzismo” venga attentamente evitata.
A quanto pare non si rendono nemmeno conto del paradosso rappresentato dalle potenze europee che, mentre accolgono i profughi creati dall’invasione russa, respingono quelli creati dalle sue invasioni e occupazioni. Così come il fatto che mentre la Russia viene condannata, come è giusto che sia, per aver invaso il paese di qualcun altro, i paesi che più fanno sentire la loro voce sulle leggi internazionali o sulla Carta e sulle risoluzioni delle Nazioni Unite ignorano tranquillamente il fatto che l’Israele dell’apartheid sta facendo esattamente la stessa cosa con i palestinesi. In quel caso niente richiesta di sanzioni o isolamento. Niente celebrazioni del coraggio del popolo di Gaza e dei territori occupati in Cisgiordania che difende la sua libertà contro un brutale occupante.
Ma d’altronde Israele non ha invaso un paese bianco europeo e noi sappiamo che secondo loro alcuni comportamenti sono accettabili e devono essere messi in conto se diretti verso persone in altri continenti.
L'intero articolo di Patrick Gathara di Al Jazeera su L'Internazionale a questo link:
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