Difficile trovare parole adeguate, di fronte alla guerra in corso e ai suoi costi umani. Ma la parola ha un potere straordinario: può uccidere o salvare vite, generare conflitti o risolverli. Ne parliamo con Federico Faloppa, cuneese classe 1972, che da vent’anni si occupa di costruzione dell’alterità attraverso la lingua, di hate speech e di manipolazione del discorso pubblico. Professore ordinario di Studi Italiani e Linguistica all’Università di Reading (UK), coordina la Rete Nazionale per il Contrasto ai Discorsi e ai Fenomeni d’odio e fa parte del Comitato di esperti per la lotta ai discorsi d’odio del Consiglio d’Europa. Recentemente ha pubblicato #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole, dove analizza il fenomeno, offrendo importanti strumenti di contrasto.
Cosa fare affinché la parola non venga strumentalizzata da parte dei poteri forti?
«Ogni parola può essere manipolata, strumentalizzata. Ne è un esempio il discorso con cui Putin ha dichiarato guerra all’Ucraina, il 24 febbraio scorso: il modo in cui è costruita l’opposizione ‘noi’ vs ‘loro’, l’uso di avverbi per connotare negativamente le azioni degli altri, gli argomenti fallaci per leggere deterministicamente la storia russa degli ultimi trent’anni… Ma assistiamo a strumentalizzazioni da parte di chiunque abbia il potere di influenzare l’opinione pubblica, di imporre una certa agenda, di far passare come oggettive posizioni che non lo sono. Penso ad esempio, da noi, ai molti editoriali delle ultime settimane in cui – con grande dispiego di argomenti fantoccio – si presentano i pacifisti o come sostenitori di Putin o, nel migliore dei casi, come residui ideologici incapaci di comprendere il mondo. In una logica di guerra, su tutti i contenuti occorrerebbe esercitare un occhio critico e consapevole: anche soltanto per tornare a immaginare un lessico con cui si possano di nuovo prevenire e risolvere i conflitti, non soltanto interiorizzarne l’ineluttabilità».
L'intervistatrice Anna Cavallera ha poi proseguito ponendo le seguenti domande:
- In quali termini ‘guerra’ e ‘diritti umani’ rappresentano due sfere semantiche difficilmente complementari?
- Esistono ‘guerre di aggressione etiche’ o giuste, capaci di agire in un quadro di diritto internazionale?
- E le ‘guerre umanitarie’?
- Quali conseguenze sul linguaggio?
- E poi c’è la parola che non si può dire: quella che viene censurata.
- Come resistere?
L'intera intervista a questo link:
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