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La parabola dei due figli con, in controluce, una provocazione: se il figlio che se ne va per il mondo fosse la Chiesa?

La parabola la conosciamo: il figlio minore chiede di poter avere una vita autonoma e il Padre accoglie la richiesta cercando di spingere anche l’altro figlio all’indipendenza. Il racconto ruota attorno a tre termini: memoriaoblio e perdono.




È la memoria che fa rientrare in sé stesso il ragazzo disponendolo alla teshuwà, facendolo rialzare e dandogli la forza di incamminarsi verso la casa del padre. Sono le circostanze che suscitano la sua memoria dalla quale nasce la possibilità di concepire e poi realizzare il ritorno.

Se non ci fosse stata quella carestia, quelle circostanze, forse non avrebbe mai nemmeno ipotizzato di ritornare. Gli eventi sfuggono al nostro controllo, ma non dallo sguardo di Dio. In questo caso fanno ritrovare quel figlio a corto in quelle risorse che riteneva incalcolabili e illimitate.

Nella sua storia, Israele ha fatto più volte esperienza di trovarsi coinvolto in eventi storici non voluti. Uno per tutti: la salita al trono di Ciro che gli aveva donato la possibilità di ritornare dall’esilio alla sua terra.

Si può allora forse essere autorizzati a leggere in questo testo di Luca, anche qualcosa che è capitato nella storia della Chiesa. 

Dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme, fiorirono due movimenti figli della medesima tradizione: il rabbinismo sinagogale giudaico e il cristianesimo. Quest’ultimo, grazie all’eredità ricevuta dalla ricchissima tradizione spirituale e religiosa del II Tempio, giunse al punto di ritenere di aver sostituito Israele, fomentando un durissimo antisemitismo ancora oggi duro da estirpare completamente e che sussiste strisciante: non parliamo forse spesso all’imperfetto degli ebrei?

Ma un evento del ‘900, la shoàh, e la scoperta della Chiesa della sua incapacità di fare fronte a questa tragedia, l’ha portata a rientrata in sé stessa

Da qui è cresciuta la coscienza che nei secoli smarrito perso nell’oblio tante delle ricchezze contenute nella linfa vitale delle sue radici. Ha iniziato così un percorso che l’ha portata alla Dichiarazione Conciliare “Nostra Aetate”, frutto di una conversione lenta ma progressiva, che ha fatto toccare la soglia del mistero del progetto di Dio rivelato e attuato continuamente nei figli di Abramo, ai quali loro (noi), i Goin si erano, come aveva spiegato l’apostolo Paolo,  soltanto aggiunti grazie all’innesto nell’ulivo buono.

 

Certo, nella parabola poi c’è anche oblio del fratello maggiore che lo porta alla negazione stessa della fraternità per lo spreco dell’eredità fatto dal fratello uscito di casa.

 

C’è anche un ulteriore oblio, quello della paternità da parte di ambedue i fratelli. Uno considera infatti il padre una specie di banca mentre, l’altro, lo riduce a un padrone colpevole di non aver punito il reprobo e non aver premiato lui per la “fedeltà”.

La tragedia dei figli si trasforma così in tragedia del padre che avrebbe potuto ragionare solo con la mente e non anche con il cuore come poi, invece, ha fatto perdonando ad ambedue.

 

Potremmo a questo punto dire che l’oblio della fraternità e della paternità è stato all’origine dell’incomprensione reciproca tra la Sinagoga e la Chiesa costringendoci, in qualche modo, ad ignorarci reciprocamente per lunghissimi secoli. Una situazione che ha trasformato i fratelli in estranei e il padre in padrone, con la conseguente perdita dei sentimenti fondamentali della paternità-figliolanza-fraternità.

 

È quello che accade nella parabola ai due i fratelli: arrivano infatti alla conclusione comune di sentirsi semplicemente dei servi. Il figlio minore formula dentro di sé la sua condizione pensando di doverla dichiarare con umiltà al padre. Il figlio maggiore rivela questa stessa convinzione gettandola come un’accusa gravissima in faccia il padre.

 

La risposta del padre mostra che invece lui si lascia guidare gratuitamente, liberamente, solo dall’amore, senza misure o restrizioni e, in modo assolutamente personale, perdonando e colmando le deficienze di ambedue i figli. Desidera che ambedue vivano riscoprendosi fratelli e suoi figli

 

È quanto sta avvenendo in questi nostri anni tra ebraismo e cristianesimo i quali, più che fratelli, sono figli gemelli, nati contemporaneamente dal Giudaismo del secondo Tempio, che si erano persi giungendo anche a una lotta fratricida. Ma, ora, si stanno ritrovando nella festa senza fine dell’amore dell’unico Padre.

 

(BiGio)

 

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