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III Avvento – Lc 3,10-18

"Che cosa dobbiamo fare?": fare spazio all'altro, rispettandolo, accogliendolo, togliendo da sé qualsiasi potere sull'altro ... e Dio grida: “Con il tuo agire mi fai felice! Tu uomo, tu, donna, sei la mia festa!”

 

La prima domenica di questo Avvento, di fronte alle continue realtà difficili che siamo chiamati a vivere, ci sollecitava a non rimanere atterriti, spaventati, demotivati, ma ad avere il coraggio di risollevarci, di alzare il capo, di guardare in faccia la realtà e a sfidarla. Ci è stato chiesto di scorgere con coraggio nel travaglio della storia umana il destino stesso del seme gettato che muore e porta frutto. L’invito era quello di vivere il presente da amministratori fedeli e saggicon responsabilità attiva e vigilante, per guadagnarci la nostra vera ricchezza. 

Le ultime parole dell’Evangelo della seconda domenica hanno fatto risuonare un grido: "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio". Era il Battista che indicava che il Signore verrà in ogni caso, ma chiede agli uomini di collaborare: non senza di loro, nonostante debbano risvegliare i loro cuori distratti, assopiti, appesantiti da "dissipazioni, ubriachezze, affanni della vita”.

Una indicazione capace di risollevare gli animi, risvegliare le speranze, dare il coraggio di guardare al futuro positivamente e, con gioia, cercare di comprendere che cosa si debba fare per dar corpo alle indicazioni ricevute.

Il Battista risponde invitando alla conversione che non è una “penitenza” da compiere, bensì un cambio di mentalità, del modo non solo pensare ma di essere in tutti i campi della vita, in particolare nelle relazioni con gli altri, sintetizzabile nella capacità di condividere quello che si è e i propri beni, nell’essere corretti e giusti, nel non cadere mai nell’abuso di potere fino a sopraffare, a usare l’altro ai propri fini.

In sintesi, la conversione concerne il modo che ho di guardare l’altro. Certo, non occorre essere cristiani o credenti in Dio per assumere simili atteggiamenti. È un discorso così laico da lasciare forse un po' perplessi e verrebbe da domandarsi cosa differenzia la vita laica da quella di un credente. Ma forse è proprio in questa non separazione netta che va cercata la vera novità del Vangelo. Dio con Gesù si è fatto uomo e, una vita umana vissuta in pienezza nell’attenzione agli altri ed agli ultimi, rende presente il suo amore per gli uomini ed è possibile a tutti.

È il messaggio di sempre dei profeti di ieri e di oggi; lo è per la nostra società come per i contemporanei di Giovanni. È il terreno preliminare necessario sul quale e per il quale possa risuonare l’Evangelo; è questo il battesimo di acqua che lui amministra. 

È da notare come le tre (ovvero la perfezione) ripetute e uguali domande fatte al Battista non sono poste al singolare: “Che cosa io devo fare” ma al plurale: “Che cosa noi dobbiamo fare”, che cosa significa che dobbiamo raddrizzare i suoi sentieri, riempire i burroni, abbassare monti e colline, spianare i luoghi impervi perché finalmente giunga il Messia e così ogni uomo veda la salvezza di Dio.

Ci viene chiesto di passare dall’io al noi, dall’attenzione alle mie esigenze, al bisogno dell’altro e della comunità. È necessario cambiare assieme, camminare assieme verso il futuro: questo solo può incoraggiarci, sostenerciindicarci e capirecomprendere cosa fare per realizzare gli obiettivi che possono darci gioia.

Realizzare quello che il Battista indica significa innanzitutto iniziare a “vedere” l’altro e il suo bisogno; Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne hasignifica che mi devo prima di tutto accorgere che c’è qualcuno che manca di qualcosa che io ho in abbondanza. Ma se sono chiuso, ripiegato su me stesso, assopito, appesantito dalle mie personali preoccupazioni e, invece, non alzo con coraggio lo sguardo, vedo solo il mondo accadere attorno a me. Se, invece, incoraggiandoci a vicenda, una volta individuati ci indichiamo gli obiettivi, comprendiamo assieme cosa si deve fare per raggiungerli mettendoci in ascolto della realtà e dell’altro, tutto cambia. Come non vedere che è questo il cammino sinodale che abbiamo intrapreso anche per riconoscere e accogliere Dio ovunque e in qualsiasi modo si manifesti, dandogli spazio nella vita dell’uomo? Questo tocca le relazioni con le persone che in qualche modo hanno a che fare con noi in ogni nostra realtà: la professione, la casa e i beni che possediamo nella concretezza di tutte le cose. Vedere, ascoltare, narrare quanto si è osservato non in maniera asettica, ma tesa alla condivisione. 

Questo è il cammino che ci è chiesto anche dal Battista: convertirsi all'uomo. Non indica delle "cose da fare", neppure di essere "buoni" o piuttosto "buonisti", ma chiede di fare spazio all'altro, rispettandolo, accogliendolo, togliendo da sé qualsiasi potere sull'altro, mantenendo ciascuno la propria condizione e il proprio impegno. La vera conversione, dà il suo frutto, la sua visibilità, dal posto che l'altro occupa nella nostra vita, specie quando debole, indifeso, povero, migrante o soltanto di passaggio. Chiede in sintesi che si rimanga umani, che si riprenda a essere il mondo del pane condiviso, della tunica data, di una storia che germogli giustizia. 

Questo, nel far presente un Dio che si china su tutti gli uomini, significa porre nella realtà semi di profezia e, per quanto questi possano sembrarci piccoli, quasi insignificanti, raccontano un Signore sempre presente attorno a ogni creatura che danza dicendo:Tu mi fai felicecome racconta Sofonia nella prima Lettura di oggi: Dio:Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa”. Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce interiore dei sogni; solo qui, solo per amore, Dio grida: “con il tuo agire mi fai felice! Tu uomo, tu, donna, sei la mia festa!”

(BiGio)

 

 

 

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