Nella liturgia bizantina l’incontro tra Maria ed Elisabetta viene ricordato in diverse celebrazioni liturgiche. Nella memoria del Concepimento di Giovanni Battista, il 23 settembre, si cantano le due madri:
Elisabetta ha concepito il precursore della grazia, ma la Vergine, il Signore della gloria; si salutarono l’una l’altra le madri, e il bambino sussultò nel grembo: poiché da lì il servo lodava il Sovrano. Stupita, la madre del precursore cominciò a gridare: Donde a me questo, che la madre del mio Signore venga a me? Perché colui che possiede la grande misericordia vuol salvare il popolo senza più speranza.(A I,668).
Il 24 giugno, nella memoria della Natività del Battista, si invita:
Guarda Elisabetta che parla con la Vergine Maria: Perché sei venuta a me, o Madre del mio Signore? Tu porti il Re, e io il soldato; tu porti il datore della legge, e io il legislatore; tu porti il Verbo, e io la voce che annuncia il regno dei cieli.(A III,817)
In un tropario del mattutino del 29 agosto, memoria della decapitazione del Battista, ci si rivolge direttamente al Battista:
Davvero non mente a tuo riguardo la voce divina: tu infatti sei più dei profeti, perché sei stato degno della profezia fin dal grembo materno, quando ancora il tuo corpo era imperfetto, e perché hai visto e battezzato, quanto al corpo, il Dio Verbo che da te era stato profetizzato.(A IV,988)
Giovanni Battista è il servo che loda il Sovrano, è profeta fin dal grembo della madre, è “più dei profeti”.
Il padre della chiesa di lingua greca che più si sofferma a contemplare l’episodio della Visitazione è Origene; dal suo commento dipenderanno poi quelli dei padri latini, di Ambrogio e di Beda il Venerabile. Un primo tema sul quale medita Origene è quello della “forma comune” tra Gesù e Giovanni. Scrive:
Dapprima la madre di Gesù, non appena l’ebbe concepito, si recò dalla madre di Giovanni anch’essa incinta; allora Gesù, che veniva plasmato, dona a Giovanni che pure veniva plasmato, una forma più accurata, rendendolo conforme alla sua gloria, tanto che grazie a questa forma comune, Giovanni era creduto Cristo (cf. Lc 3,15) e Gesù era ritenuto Giovanni risorto dai morti (cf. Mt 14,2).
È chiaro, continua Origene,
il senso del viaggio compiuto con tanta sollecitudine da Maria verso la montagna, il suo ingresso nella casa di Zaccaria e il saluto che rivolge a Elisabetta; ciò accade perché Maria possa rendere partecipe Giovanni, ancora nel seno di sua madre, della potenza da lei ricevuta da colui che portava in seno, e Giovanni potesse comunicare alla madre la grazia profetica ricevuta da Maria (Commento a Giovanni 6,49).
Rivolgendosi in particolare ai catecumeni ed esortandoli a non tirarsi indietro, ma a seguire colui che li ha attirati a sé, Origene dirà che tutto questo “non ha avuto luogo soltanto a quei tempi, ma si compie oggi in noi”. Oggi si compie in noi anche la visita di Gesù che viene a trasformarci, a donarci la sua forma di modo che possiamo avere in noi gli stessi suoi sentimenti (cf. Fil 2,5). Conclude Origene: “Beata colei che ha creduto e beato colui che ha creduto perché si adempiranno le cose che gli sono state dette dal Signore” (Omelie su Luca 7,8).
La tradizione orientale, a partire dal V secolo, vede nel roveto ardente in cui Mosè incontra Dio (cf. Es 3,16), una prefigurazione della Vergine Maria; come il roveto ardeva senza consumarsi, così la Vergine ha dato alla luce Cristo rimanendo vergine. Ne abbiamo un esempio nel seguente inno di Romano il Melode (+ 560):
Come un tempo il fuoco nel roveto lo illuminava senza bruciare le spine così ora il Signore nella Vergine. Dio non voleva né ingannare Mosè, né spaventarlo; per fargli conoscere l’avvenire gli mostrava il roveto infuocato, affinché venisse a sapere che Cristo è partorito da una vergine, che, dopo il parto, rimane ancora vergine” (Inno sull’Annunciazione 2,6).
Il tema è ben rappresentato nell’iconografia, ed è presente anche nella liturgia romana nella terza antifona dei vespri del 1o gennaio. La vergine ha accolto Dio come il fuoco che bruciava nel roveto senza consumarlo ed ora porta il fuoco in questo suo viaggio missionario presso l’anziana cugina; ma tutti noi, come diceva Ignazio di Antiochia, siamo “compagni di viaggio, portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo e dello Spirito santo” (Lettera agli efesini 9,2).
(da: www.monasterodibose.it)
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