Nella seconda domenica di Avvento, Luca ci aveva fatto capire che il Signore non sceglie i potenti per manifestarsi, ma fa cadere la sua Parola su di un uomo sconosciuto che vive nella solitudine del deserto. Nell’Evangelo di oggi accade lo stesso: Gabriele scende in un piccolo agglomerato di case e si fa presente a una ragazza fino a quel momento insignificante con un saluto per nulla formale come potrebbe essere l’incipit della preghiera “Ave Maria” che per noi sta come un disattento “Salve”.
L’inizio dell’Angelo è per nulla statico e convenzionale ma è innanzitutto un invito alla gioia che rimanda a molti testi delle Scritture Ebraiche come per esempio in Sofonia (3,14-15): “Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele e rallegrati con tutto il cuore figlia di Gerusalemme (…) il Re di Israele, il Signore è in mezzo a te”; oppure in Zaccaria (2,14): “Gioisci, esulta, figlia di Sion perché ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te”. Sono inviti a saltare di gioia, a non rimanere imbambolati e passivi come farebbe anche intendere la traduzione del temine greco seguente con un altrettanto passivo “piena di grazia”. Maria non è un vaso che è stato riempito: è una persona umana rispettata dal Signore che l’ha raggiunta con la sua grazia, cioè con il suo amore. Per comprendere bene, si deve notare un sottile gioco di parole: l’assonanza che c’è tra i termini greci chaìre e chàris; cioè l’esplosione di gioia contenuta nel saluto gioisci e rallegrati richiama la grazia che ha invaso Maria: non c’è gioia vera senza l’amore di Dio, come non vi è grazia di Dio che non sfoci nella gioia nonostante tutto, nonostante le difficoltà che possono derivare anche da questo essere investiti, travolti da un amore improvviso, inaspettato. Questo viene immediatamente confermato: “Il Signore è con te” che, se lo si legge in controluce ai due testi sopra citati (“Il Signore è in mezzo a te … Io vengo ad abitare in mezzo a te”), si capisce che è tutto fuorché una convenzionale frase fatta, un semplice augurio beneaugurante di routine a quei tempi e che giunge fino ai giorni nostri.
Ha invece un senso molto forte che è anche quello, seppur incompreso, che il prete proclama nelle nostre Eucaristie: “Il Signore è in te (in voi) e fa di te (voi) la sua dimora”. Come questo fa nascere a Maria Gesù, così il ripetuto annuncio del prete durante le nostre Eucaristie tende a far presente questa realtà nell’Assemblea che, poi, partecipando del “Pane Unico”, diventa una sola cosa “incarnando” così Gesù per essere inviati ad essere suo “sacramento” nel mondo, cioè segno efficace del suo amore in, tra e per tutti gli uomini.
L’Angelo rispondendo poi all’obiezione di Maria “Come è possibile questo?” afferma: “Lo Spirito santo scenderà (è sceso) su di te e la potenza dell’Altissimo di coprirà con la sua ombra; perciò quello che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio” rendendo così esplicito il contenuto del suo saluto iniziale.
Queste parole riecheggiano quello che è accaduto nell’Esodo quando Mosè, sceso dal Sinài fece costruire su ordine di Dio la tenda dell’incontro, prefigurazione del tempio di Gerusalemme, e viene annotato che: “Allora la nube coprì la tenda dell’incontro e la gloria del Signore riempì dimora. Mosé non poté entrare nella tenda dell’incontro, perché la nube dimorava su di essa e la gloria del Signore riempiva la dimora” (Es 40,34-35).
Il verbo con cui i LXX hanno tradotto il termine in ebraico “dimorava”, è il medesimo che adopera Luca per dire “stenderà la sua ombra”. Maria diventa allora la “tenda dell’incontro”, la dimora della gloria di Dio, Sekinàh in ebraico.
L’Angelo a Zaccaria e a Maria annuncia la nascita di un figlio: l’uno e l’altro saranno “grandi” ma con una differenza importante: Giovanni sarà “grande davanti al Signore”, mentre Gesù sarà “grande” in assoluto, sarà “il grande” per antonomasia, come Dio stesso.
La risposta di Maria è densa di significati e tutti poggiano su quel “fiat” pronunciato da Maria sottolineando la sua obbedienza al piano divino, come se senza la sua volontà di cooperare, la nostra salvezza sarebbe venuta meno: la volontà di Dio deve incontrare la nostra perché Dio non si impone, ma si propone.
Certo, ma c’è un altro aspetto poco sottolineato perché, in questo modo, si corre il pericolo di dimenticare tutto quello che ha preceduto il suo assenso, ovvero la dichiarazione dell’Angelo: “Il Signore è con te … hai trovato grazia presso Dio” cioè, come è stato sottolineato precedentemente, “Sei stata riempita dell’amore di Dio”. È in virtù di questo suo stato, in forza della potenza dell’amore di Dio che è scesa su di lei che può pronunciare il suo assenso. Il suo “sì” non nasce tanto dalla sua semplice volontà, ma da questa già abitata in pienezza dallo Spirito. Maria non avrebbe potuto dire di no perché a rispondere è lo Spirito che è già in Lei, è Gesù che già la pervade e risponde per lei, in lei, con lei.
Il fondamento dell’umiltà di Maria sta proprio in questo lasciare che Dio agisca in lei, nell’attribuire a Dio il bene che fa. Immaginare un “no” sulla bocca di Maria non diminuirebbe tanto la sua grandezza, quanto sarebbe piuttosto un disprezzare la forza della Grazia di Dio che ha agito in lei.
(BiGio)
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