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Senza discriminazioni, ma non senza differenze: una bella sfida

La piccola discussione che si è aperta intorno al documento della Equality Commission deve essere ricondotta alla sua vera dimensione. Che non può essere travisata con titoli esagerati e con vere e proprie menzogne. Nessuno si è sognato di “vietare” né la parola Natale né il nome Maria.  Piuttosto si tratterebbe di sostituire ai nomi “qualificati da una differenza”, appellativi più “indifferenti”.


Quando le “feste religiose” diventano “feste civili” – il Natale, la Pasqua, la Pentecoste (che a loro volta sono diventate feste religiose da adattamenti precedenti) – la terminologia con cui vengono chiamate risulta inevitabilmente differenziata. E le lingue elaborano queste esperienze in modo a loro volta differenziato. In Italia chiamiamo “Domenica” ciò che gli inglesi chiamano “Sunday”, ma loro chiamano “Christmas” ciò che noi chiamiamo “Natale”. Così si potrebbe astrattamente avere un problema con “giorno del Signore”, ma non con “giorno del Sole”, con “Christmas” ma non con “Natale”. Le lingue sono imprevedibili almeno quanto i progetti degli umani. Le diverse parole possono avere un peso variabile impattando su altre sensibilità e altre confessioni. Ma il punto decisivo è questo: la tolleranza viene favorita dalla indifferenza di un linguaggio “neutro”, o dall’acquisito rispetto verso “linguaggi qualificati”? Come si costruisce la convivenza pacifica? Eliminando le differenze come minacce alla pacifica convivenza o rafforzando il rispetto per le differenze da intendersi come ricchezze comuni?


L'intera interessante riflessione di Andrea Grillo in Munera a questo link:

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