Dopo i quattro verbi centrali nelle Domeniche di Avvento:
incoraggiare, indicare, comprendere, rallegrarsi
oggi ci viene detto il "perchè" e irrompe il quinto verbo: salvare
Oggi, la salvezza irrompe nella creazione ed è festa.
Un “censimento di tutta la terra”. Così, Luca inizia il racconto della nascita di Gesù. Collocando questo evento non tanto nella Palestina, quanto nell’intero universo, facendosi così confrontare due persone: Tiberio imperatore del romano impero e un bambino nato in una greppia come un semplice numero dell’anagrafe romana ma che, essendo di stirpe davidica, diventerà quel Messia realizzando le promesse fatte a Davide 1000 anni prima e lette con significati escatologici dal profeti Natan, Isaia e Michea.
Maria partorisce “il suo figlio primogenito”: non è una informazione biologica ma teologica perchè guarda al fatto che sarà il primogenito tra i risorti dai morti e del quale siamo chiamati a diventare ed essere fratelli. È così vero che viene fasciato e “deposto” in una mangiatoia, verbo che richiama il fatto che, Gesù, una volta morto, sarà avvolto nel sudario e “deposto” nel sepolcro. Non per nulla nell’icona ortodossa della natività, il neonato viene dipinto non in una mangiatoria, ma in un sepolcro.
Luca porta poi la nostra attenzione sui pastori disprezzati al loro tempo ed esclusi dalle celebrazioni del Tempio che, però, si trovano a loro agio nelle grotte anche in quella di Betlemme. Luca sottolinea che “vegliavano nelle notte”: sono quelle sentinelle descritte da Isaia (21,11-12) che scrutano la notte per vedere quando spunterà l’aurora e finirà la paura. Sono come Simeone e Anna che accoglieranno Gesù al Tempio e che “aspettavano la consolazione di Israele e la redenzione di Gerusalemme”. Con questo Luca ci vuole dire che il suo Evangelo si rivolge a chi è in ricerca ed in attesa, non ha chi sa già tutto per il quale, invece può trasformarsi in una cattiva notizia.
Prorompe allora l’annuncio di gioia fatto dall’Angelo “Ecco, vi annuncio la buona notizia di una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi è nato per voi un salvatore che è Cristo Signore”.
Questo “oggi” vale anche per noi. Per comprenderlo può essere utile ricordare almeno altre tre volte nelle quali ricorre nell’Evangelo di Luca. Il primo è nell’episodio di Zaccheo al quale Gesù dice: “Oggi, devo fermarmi a casa tua” e, suscitando la sua gioia, il suo entrare in rapporto con lui gli cambia la vita. Il secondo è l’annuncio che fa a Pietro “Oggi mi rinnegherai” provocando il suo pianto (di conversione) che sta alla base del suo ministero. Il terzo è la promessa che fa al ladrone crocefisso con lui: “Oggi sarai con me nel paradiso”; è il sigillo che Gesù pone alla conversione del malfattore.
Ma c’è una differenza con l’oggi detto ai pastori: qui non si parla di conversione. Questo insegna che la conversione non è la condizione della salvezza, bensì la conseguenza che provoca in chi l’accoglie. La salvezza è dono gratuito e inaspettato, non un mercanteggiare al quale a volte viene purtroppo ancora oggi ridotta.
Oggi nasce un bambino che ha un unico compito, essenzialmente la sua funzione è quella di “salvare” e nasce non per una massa indistinta anonima, ma “per voi” cioè per me, per te, per noi che anche oggi leggiamo questa pagina dell’Evangelo tesa ad illuminare la situazione particolare che stiamo vivendo, anche con i suoi aspetti bui della notte. Come i pastori nella oscurità erano immobili in attesa di non si sa che cosa ma, dopo l’annuncio, subito si mettono in movimento: ad un tratto trovano una direzione da seguire, un senso che da gioia. Questa è l’esperienza della salvezza che Gesù è venuto viene e verrà ad offrirci: aiutarci a mettere nella nostra vita un senso là dove è stato smarrito.
Un neonato, non tanto l’angelo, la luce sfolgorante, il canto dell’esercito celeste è il segno che ci è stato dato, che è dato a noi anche oggi. Fragile, vulnerabile, debole che ha bisogno di tutto e di tutti per sopravvivere: l’opposto della potenza che si attendeva, ci si poteva attendere e ci attendiamo quando guardiamo e confidiamo sui potenti. Un non segno che rimarrà tale tanto che Luca usa il medesimo verbo per dire che quel segno di salvezza è stato coricato in una mangiatoia e, più tardi, in una tomba.
Gesù porterà sì agli uomini la salvezza, ma attraverso la croce, l’antisegno per eccellenza. La debolezza del segno offerto ai pastori è l’annuncio del modo con cui Gesù salva, non con la potenza dei potenti, ma con il dono di sé.
(BiGio)
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