Dalle riflessioni di un anonimo del XX secolo con appena qualche ritocco per adeguare le riflessioni ai tempi di oggi.
Sono un bambino che non diverrà mai grande e che nella sua breve esistenza ha conosciuto troppe sofferenza e alla fine la morte. Mi rivolgo a voi padri e mamme che amate i vostri bambini e per loro cercate di rendere il più felici possibile questi giorni. I vostri bambini scrivono a babbo natale, a me non è dato di scrivergli, io non riceverò doni; non ne ho mai ricevuti. Io non ho neanche potuto imparare a scrivere, per me non c’erano scuole.
In questi giorni ricordate un bambino, ricordate la sua povertà, la sua vita travagliata già nei primi giorni; ma quanti state ricordando i tanti bambini che come me oggi nascono, soffrono, sperimentano fame, quando c’è tanto cibo da soddisfare tutti; malattie che possono essere curate con poco; patiscono sopraffazione e sfruttamento per l’ingordigia dei potenti? Quanti vi lasciate veramente toccare il cuore e la mente senza fermarvi a sentimenti passeggeri per continuare ad immergervi nella vostra vita in mezzo a tanta indifferenza?
Per una volta prestatemi attenzione, anche se non siedo al tavolo dove i potenti decidono della vita e della morte di milioni di persone; anche se non siedo a mense imbandite dei ricchi dove i cibi si accumulano e vengono sprecati, se non grido sulle vostre piazze. Ma io bambino, debole, invisibile, ignorato, posso comprendere la debolezza di un Dio che si è fatto bambino come me; io rifiutato che ho subito indifferenza posso capire dove si annidano le cause di troppe sofferenza, dove i sentimenti sono morti, l’amore lacerato, le parole suonano vuote. Vorrei parlare a ciascuno di voi per narrargli la mia vita, gridare alle vostre orecchie le sofferenze che ho incontrato, svelarvi ciò che succede nei cuori infranti di tanti papà e mamme. Ma la mia voce è sempre più flebile, solo un soffio, solo chi è attento e cuore disponibile può ancora udirla.
Io morto di stenti sulla terra dove nacqui, morto tentando di attraversare deserti e mari, morto alle periferie di vostri paesi e città, morto sotto le bombe; morto in baracche fatiscenti, morto in luoghi a me sconosciuti; io, morto di cui non si troverà il cadavere o che sarà solo un numero; io morto avvinghiato al corpo senza vita della mamma mentre le gridavo di svegliarsi, di abbracciarmi, di rassicurarmi e di rasserenarmi; io guardato con fastidio, posso comprendere la vita di quel bambino che voi in questi tempi ricordate, ma, soprattutto, parlarvi di tanti altri bambini che su questa terra sono nati, hanno subito sofferenze e violenze, sono morti sempre sconosciuti e nell’indifferenza. Se rifiutate di lasciarvi toccare cuore e mente, disturbare da un bambino di carta pesta, che relegate in un tempo ormai lontano, ascoltate quello che ho da dirvi.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli dirò quanto le vostre feste testimoniano poco, quanti vostri natali sono scaduti in folklore e retorica, perché non guardavate i bambini in cui oggi Gesù si fa presente. Gli dirò di come si è privilegiato l’immagine di un bambino di cartapesta, lo si è circondato di addobbi e di luci, ridotto a feticcio che non disturba, ad un bambino bisognoso di sfamarsi, scaldarsi, di affetto, di essere accolto ed amato. Ma questo bimbo ero io, potevo disturbare e la mia immagine perciò rimossa
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli dirò della mia fame, che tutti i giorni è stata mia compagna, mentre mi sarei accontentato degli avanzi delle vostre mense.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli racconterò delle notti fredde, senza potermi neanche coprire, casa in cui rifugiarmi, quando il solo calore era il corpo della mamma, perché nessuno mi ha accolto.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli dirò delle notti insonni, colme di paure, dove l’unica speranza era la luce del giorno. Gli dirò dei sogni pieni di incubi per tutti i pericoli, sofferenze che nella mia breve esistenza sono stato costretto a patire.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli dirò del mio vagabondare lungo le strade, alle periferie delle città, dove ho vissuto solitudine ed indifferenza, dove attorno a me ho trovato solo cuori freddi, parole e promesse vuote.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli parlerò dell’angosce di papà impossibilitato a mantenerci, del volto ormai senza lacrime di mamma, quando ormai non avevano più forza per lottare per me e la speranza era svanita.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli dirò di chi mi ha messo in mano pale e picconi troppo pesanti, costringendomi a duri lavori, su cui loro traevano lauti guadagni; mi ha messo in mano fucili e mi ha mandato a morire ed uccidere, quando sognavo tra le mie mani solo giocattoli per divertirmi con gli amici. Giocattoli che non ho mai avuto e che voi avete in abbondanza e buttate via
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli dirò di tante parole cattive, di chi mi ha rifiutato, insultato, della proibizione di poter giocare con i vostri bambini. Ero sporco e i miei vestiti puzzavano, perché papà e mamma erano troppo poveri.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Gli dirò di coloro che solo per un attimo si sono lasciati commuovere davanti alle mie sofferenze e morte di bambino, ma che, subito dopo, hanno chiuso il loro cuore persi nei loro traffici. Io sarei stato solo un peso e perciò da rifiutare e mandato via.
Quando sarò davanti a Dio gli dirò che io il più fragile, più bisognoso, orfano, ho subito angherie, giudizi duri, ho visto odio in tanti sguardi come se fossi stato io il colpevole; mentre io debole e fragile, come tutti i bambini, avevo, il diritto di essere accolto, custodito, amato. Diritto negatomi.
Quando sarò davanti a Dio gli parlerò. Io che ho posto fiducia in voi grandi, ho subito violenze, sono stato violentato e violato, come se fossi stato un oggetto .
Quando sarò davanti a Dio lo pregherò perché le sofferenze inflittemi, la fame che giorno e notte mi attanagliava, gli incubi che mi accompagnavano, siano a vostra scusante.
Quando sarò davanti a Dio gli dirò che quando sarete davanti al suo giudizio, le violenze subite, l’indifferenza che mi circondava, i desideri frustrati, le speranze infrante, la mia vita ritenuta non degna di essere vissuta, servano, davanti a lui, a perdonarvi, perché non “sapete quello che fate”
Ora che sono davanti a Dio, ho da dirvi che vi perdono.
Quando un giorno ci troveremo tutti accolti nella casa di Dio, dimenticheremo, sofferenze, procurate e subite; indifferenze, rancori e odi, ingiustizie fonte di oppressioni e, allora, sì che comprenderemo il significato di amare; allora sì che ci sentiremo partecipi e responsabili di questa unica umanità; allora sì che ci sentiremo figli di uno stesso Padre e fratelli in Gesù.
(dalla pagina FB di Lorenzo Bruno)
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