E la strada si apre

Quando facciamo tacere le parole inutili, come tace ogni cosa sotto la neve, la potenza del silenzio ci sorprende. Il tempo di Avvento è illuminato dalla parola solidissima dei profeti, alla quale è bene volgere l’attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro… (cfr. 2Pt 1,19)



I profeti sono uomini e donne raggiunti dalla parola creatrice di Dio, che ha trasformato il loro sguardo, rendendoli capaci di vedere oltre le apparenze, in profondità, anche nelle situazioni più tristi. Al tempo dell’esilio in terra straniera, il popolo d’Israele vive la mancanza della terra, del tempio, della sua autonomia, e piange ciò che non ha più, Gerusalemme; è ormai rassegnata alla sua sorte: perché spingere oltre lo sguardo, perché mai, dopo tante delusioni, uscire e camminare, affrontando di nuovo “montagne insormontabili e gole profonde”, non è meglio tenersi l’abito del lutto e lasciare le cose come stanno? Insieme alla terra e al tempio, il popolo sente di aver perso anche la sua dignità: accade prima o poi, quando ci identifichiamo con ciò che possediamo e facciamo. Ma il profeta vede ciò che manca davvero: la fiducia in Dio, nella sua parola creatrice. E se fosse proprio lui ad appianare la strada e a guidare? Se ritrovare dignità e vita non dipendesse dalle possibilità degli uomini, ma dalla possibilità di Dio? Come credere nella vita eterna se non crediamo che già qui Dio possa rinnovare la vita, salvare ciò che è perduto, far nuove le cose? Risorgi Gerusalemme! Guarda verso oriente, dove ogni giorno il sole continua a risorgere e deponi la veste del lutto, rivèstiti della gloria che ti viene da Dio per sempre (Baruc 5,5).

In questa luce possiamo comprendere l’invito di Giovanni il Battista a preparare la via del Signore. Non si tratta di sforzarsi, di mettere in campo strategie e sacrifici, per preparare una via al Signore, perché la via è del Signore: è lui, il Signore Gesù, che viene, apre la strada, cammina insieme a noi, con quella gratuità sorprendente che Giovanni ha sperimentato quando “la parola di Dio venne su di lui” e lo spinse a “percorrere tutta la regione del Giordano”. La parola viene nel deserto. Nella Bibbia il deserto è popolato da mille voci, alcune delle quali edificano, altre distruggono: bisogna “saper distinguere ciò che fa la differenza” (seconda lettura) e questo chiede solitudine e silenzio, come suggerisce il termine greco erēmo nel vangelo, indicando così non un luogo fisico ma una condizione di ascolto e discernimento.

La parola di Dio (av)venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”.
I profeti ci testimoniano che la parola di Dio è una parola creatrice, “agisce” e per questo possiamo ascoltarla. La sentiamo risvegliare l’infinito che è in noi, i germogli di vita nuova che ancora sono vivi sotto le macerie, dentro il dolore delle nostre ferite e delusioni, ci apre a una speranza fatta carne, scopriamo frammenti di eternità nella nostra fragile umanità.

Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei tu che agisci, Signore” (Salmo 39)
La parola riesce ad esprimere tutta la sua potenza quando trova un silenzio accogliente, e il silenzio a sua volta diventa più potente della parola: nascono domande vere, vengono meno le certezze e le maschere, si torna a cercare, a chiedere a Dio “Chi sei tu e chi sono io?”. La voce dei profeti ci chiama nel silenzio: proviamo a far tacere quello che sappiamo già, ad ascoltare il non credente che è in noi, a stare davanti ai monti del nostro orgoglio, alle valli delle nostre paure, volgendo l’anima al Signore, scrutando la sua parola, il suo venire.

Se ritarda, attendilo con fiducia, egli non mancherà” (antifona di Avvento).

Emanuela Francesca Sangaletti
(in "Vino Nuovo")        .

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