All’inizio del pericope di oggi, i soggetti sono i genitori di Gesù che, come ogni anno, si recano in pellegrinaggio al Tempo per la Pasqua, portando il figlio con loro come si fa con un bambino. La novità è che questa volta ha 12 anni, è considerato oramai adulto e bruscamente diventa il soggetto principale prendendosi la scena senza mai più lasciarla, rimanendo in città quando i genitori riprendono la strada del ritorno.
Per i genitori sono tre giorni di angoscia, ma questo numero nella Scrittura normalmente porta ad una uscita positiva e, infatti, lo ritrovano. Maria esprime tutto in quel “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”.
La risposta di Gesù sconcerta: nessun rincrescimento, nessuna scusa, nessuna spiegazione, solo una domanda che suona come un rimprovero: “Perché mi cercavate?” sono le sue prime parole riportate dall’Evangelo e poi continua nel medesimo tono: “Non sapevate che devo stare nelle cose del Padre mio?”. “Stare” e non “fare” è la traduzione corretta del termine greco; il consueto “occuparmi” al quale siamo abituati, non rende ragione del senso voluto da Luca.
Il fatto che Gesù è oramai diventato indipendente ed è lui che decide per sé, è sottolineato pure da quel “poi scese con loro, andò a Nazareth e stava loro sottomesso” quando ci si sarebbe attesi un più logico “scesero assieme a Nazareth …”.
Luca poi aggiunge: “Essi non capirono la parola che aveva detto loro” ed è da questa incomprensione che è necessario partire per capire. Questo “non capire” ricomparirà come un ritornello nell’intero Evangelo lucano. Solo alcuni esempi: dopo che Gesù ha detto ai suoi apostoli: “Fissativi nelle orecchie queste parole: il figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini”, Luca rileva: “ma essi non capivano questa parola; era loro velata perché non la percepissero, e temevano di interrogarlo su questa parola”.
Anche dopo il terzo annuncio della passione Luca annota di nuovo: “Ma non capirono nulla di questo; quella parola rimaneva nascosta loro e non afferravano ciò che era detto”.
Però, dopo la sua risurrezione, ai discepoli di Emmaus dice: “O stolti e lenti di cuore a credere a tutto ciò che hanno detto i profeti! Non era forse necessario che il Messia soffrisse queste cose ed entrasse nella sua gloria? Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”.
Quando poi apparve agli undici Luca annota: “Allora apri loro l’intelligenza per comprendere le scritture”.
Si deve allora giungere alla fine dell’Evangelo per giungere a comprendere l’incomprensione dei genitori di Gesù dodicenne con Maria che non chiede spiegazioni, ma “serbava tutte queste cose nel suo cuore”.
C’è una seconda allocuzione che percorre tutto l’Evangelo ed è quella domanda che Gesù pone ai suoi genitori: “Perché mi cercavate?”. Non si può non ricordare come il medesimo verbo “cercare” ricorra nelle parole degli angeli alla tomba di Gesù (“Perché cercate il Vivente tra i morti?”) ed anche alla sua Ascensione “Perché state a guardare …” è la nostra traduzione, ma è piuttosto un “Perché cercate …” (At 1,11).
Gesù afferma che deve “stare” presso suo Padre affermando così da una parte la sua identità, da quell’altra quello “stare” serve ad anticipare ed indicare la “necessità” che Gesù afferma nei tre annunci della sua passione e risurrezione (“è necessario che ...”).
Maria conservò “tutte queste parole in cuor suo” e finisce per capire dove “stava” suo Figlio dopo la croce: non nel sepolcro, ma presso il “Padre suo”. Per questo, una volta giunto l’annuncio che era stato trovato vuoto, non le serve correre al sepolcro. Questa sua assenza è una confessione di fede nel Risorto.
(BiGio)
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