La giustizia riparativa resta di fatto un oggetto sconosciuto ai più; spesso viene schiacciata sull’idea di perdono, oppure s’immagina che mascheri forme di indulgenza eccessiva verso i criminali; qualcuno l’associa all’abolizione del carcere e delle pene tout court. E viene da chiedersi quale presa possa avere in un paese in cui, davanti all’indignazione popolare per reati gravi, la prima risposta resta sempre e comunque introdurre nuove pene o inasprire quelle esistenti. In questo articolo, provo a spiegare cos’è la giustizia riparativa, qual è la sua storia, in cosa consiste nella pratica, quali sono le sue potenzialità e i suoi limiti.
Credo che parlarne sia un’occasione d’oro per interrogarsi su cosa significhi “giustizia”, per ciascuno di noi e per la società in cui viviamo. Una domanda difficile che se ne porta dietro molte altre, tra cui: come “si fa” davvero giustizia? Qual è il vero significato della pena e in particolare della detenzione in carcere? E come si “ripara” un danno irreparabile, com’è una vita stroncata da un omicidio, o un’esistenza per sempre segnata da un abuso, una violenza, un incesto? Ha senso parlare di “perdono”, in particolare nella sfera pubblica? Sono domande che bruciano, e, dopo aver chiarito il quadro generale, intendo affrontarle condividendo anche la mia esperienza personale di vittima (riluttante) in un percorso riparativo “atipico”. Un’esperienza spiazzante, di grande intensità, che – come capita spesso in questi casi – mi ha lasciato più domande che risposte, ma di certo mi ha regalato uno sguardo diverso su molte cose, a cominciare da me stessa. Ve la racconterò per un motivo ben preciso. Nella giustizia, intesa come “pratica” e fenomeno umano, gli alti principi e i bassi istinti, la razionalità e le emozioni, si mescolano in modo continuo, profondo, quasi inestricabile. Per questo credo che, quando se ne parla, non si debba aver timore di tematizzare anche i vissuti e le emozioni che l’accompagnano, specialmente quando sono complessi, contraddittori, conflittuali. Servono alla comprensione del problema". (Benedetta Tobagi)
L'intero articolo di Benedetta Tobagi a questo link:
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