Quale pace?

Pace fra gli uomini, i suoi amati


 

Così risuona senza ambiguità il canto degli angeli la notte di Natale. Ambiguità alle quale si prestano le altre traduzioni, anche quella ultima “Pace agli uomini che egli ama” perché potrebbe far intendere che ce ne sono alcuni che Lui non ama.

Così il cielo proclama in Gesù, la gloria di Dio, colui che mette pace fra gli uomini perché Dio non ha mai cessato di amarli.

Dobbiamo allora domandarci: ma quale pace? Da quando il Cristo è venuto fra noi, non si è verificato un progresso della pace sulla terra, anzi, il progresso è stato piuttosto nel perfezionamento delle armi che anziché uccidere un solo uomo, ne possono uccidere milioni in un colpo solo. Oggi l’uomo ha persino il potere di annientare, in pochi istanti e più volte, tutto il nostro pianeta. Gli ebrei, che ci dicono di continuo che basta guardare il mondo per vedere che il Messia non è venuto, non hanno forse ragione? Sì, hanno ragione; e di fatto, anche noi aspettiamo il ritorno, piuttosto che la venuta, del Messia; è in quel momento, secondo la fede cristiana, che si verificheranno pienamente le profezie delle quali Israele aspetta, anche esso, il compimento. Ma allora qual è il senso della proclamazione angelica del Natale? Di quale pace parla la schiera celeste? E non è forse è strano che un “esercito” (il greco dice proprio stratià, termine eminentemente militare) - forse pure celeste - parli di pace? La risposta non è certo facile, e non ci si può accontentare di parlare di pace interiore, perché anche questa è piuttosto spesso minacciata e rotta, anche fra noi cristiani.

Quale pace è mai Gesù, e Gesù bambino? È proprio a partire dal fatto che Gesù è un bambino che possiamo capire. Un bambino è chiamato a crescere; così chi la pace che è Gesù non è “pronta per l’uso”; È piuttosto il pegno, la garanzia che ci sarà la pace, ma essa deve conquistarsi ma mano; se Gesù cresce in noi, allora nel contempo la pace cresce e diventiamo “artigiani di pace”. Perciò occorre che ci spiriamo al modello di Maria che “custodiva queste parole meditando in corso suo”. 

Sei noi cresce la parola, se essa si impadronisce di noi, allora diventiamo uomini e donne capaci di portare pace. La pace non è una ricetta, non è un prontuario (come se bastasse fare questo o quello…), la pace è una persona. Quando questa persona ci ha conquistati al punto da diventare il nostro stesso io (si pensi all’espressione Paolina: “per me, il vivere in Cristo”, Fil 1,21), allora si mette ad agire attraverso le nostre proprie azioni. Qui sta tutta la differenza tra” l’operatore di pace” e “il pacificatore” (o il pacifista), per il quale la pace è un’ideologia da imporre, magari anche con la potenza e la forza delle armi. “Pacificatore” non era forse uno dei titoli di cui si vantavano gli imperatori romani? E Tacito ne “La vita agricola” ha commentato: “Rubare, massacrare, rapinare, questo (i romani), con falso nome, chiamiamo impero e là, dove hanno fatto il deserto, dicono di aver portato la pace”.


(fr Daniel Attinger)

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