Passare dalla sola sacramentalizzazione all’evangelizzazione integrale.
La Chiesa deve testimoniare il messaggio evangelico nella sua essenzialità e radicalità, accentuando il carattere comunitario della fede cristiana, con uno stile gioioso, di misericordia, di speranza, offerta anzitutto a chi si trova nella sofferenza e nella povertà.
La dimensione comunitaria si deve esprimere nella fraternità, nella cura attenta delle relazioni interpersonali, attraverso cui si comunica la fede. Serve una Chiesa più conviviale, fatta di gesti anche semplici.
Occorre riflettere sulle celebrazioni liturgiche, nelle quali in molti casi si constata la debolezza del tessuto comunitario e la difficoltà a rendere comprensibile un linguaggio che appare a molti lontano e insignificante; senza dimenticare che, oltre la celebrazione eucaristica, ci sono altre forme cui dare spazio (liturgia delle ore, della Parola, lectio divina) e le liturgie domestiche.
Serve una Chiesa meno autoreferenziale in cui le unità ecclesiali territoriali creino luoghi di incontro e di dialogo (e magari anche di festa) aperti a tutti, gestiti dai laici, dove ci si possa confrontare sui problemi del territorio, sui problemi sociali che la gente sente più urgenti, e anche su temi culturali e spirituali, ricordando che per far incontrare il Vangelo dobbiamo imparare a parlare col mondo invece di parlare al mondo. In questi luoghi si possono proporre anche momenti di riflessione biblica, per i credenti, ma aperti a tutti.
Passare dalla supplenza clericale alla corresponsabilità testimoniale.
L’istanza comunitaria richiede un graduale superamento della struttura piramidale della Chiesa, e di ripensare l’accesso ai ministeri, promuovendo il ruolo anche decisionale dei laici, sia uomini che donne, e riconoscendo alle donne l’accesso al diaconato.
È urgente provvedere ad un’adeguata formazione dei laici e delle laiche che assumano ruoli di responsabilità nelle strutture e nelle unità ecclesiali, sollecitando una loro presa di parola e la loro creatività. Ancor più fondamentale è l’impegno di testimonianza evangelica nelle varie forme della vita sociale, civile, culturale, professionale, familiare.
Passare dall’attivismo pastorale alla formazione teologica.
Occorre incrementare la riflessione teologica che sappia compiere un’opera di mediazione tra il Vangelo e la cultura in cui siamo immersi e offrirla come servizio alla comunità dei credenti, superando due pregiudizi molto radicati: una concezione intellettualistica della teologia e una visione attivistica della pastorale. Avendo consapevolezza che stiamo rischiando narrazioni vuote, perché i giovani non hanno ricevuto alcuna trasmissione della fede (dai nonni e in genere dalla famiglia, spiritualmente povera). Questo richiede l’adozione di nuovi linguaggi e nuove forme di pastorale. L’esigenza di superare il dogmatismo richiama la necessità della formazione di cristiani adulti.
Passare dall’autoreferenzialità ecclesiale al dialogo socio – culturale.
Ogni comunità deve avere una sensibilità ecumenica, perseguire la riconciliazione anzitutto fra i cristiani, senza dimenticare il dialogo interreligioso. Occorre operare nei territori, con altre religioni, realtà, singoli che già agiscono dove ci sono fragilità, costruendo reti e sinergie.
La comunità ecclesiale è sfidata sulla sua capacità di abilitare i credenti ad una fede che sia consapevole delle attuali trasformazioni culturali e sociali, in modo da affrontarle non rimanendo sulla difensiva, ma prendendo l’iniziativa di contribuire a orientare quelle trasformazioni stesse con la sensibilità del Vangelo; senza forme di intransigenza e con uno stile dialogico.
(da: "Una chiesa fragile difronte al cammino sinodale" di Beppe Elia sul sito Viandanti.org)
Nessun commento:
Posta un commento