Il cammino sinodale è una novità assoluta per la Chiesa italiana, che nella sua storia recente si è comunque misurata con altre forme di «convenire ecclesiale», rappresentate dai Convegni ecclesiali decennali (perlopiù collegati ad un 'piano pastorale') e dalla possibilità di attuare dei Sinodi nelle singole Diocesi. Detto questo, occorre notare che la nuova esperienza presenta (almeno nelle intenzioni) varie discontinuità rispetto ai «cammini ecclesiali» del passato.
C'è un tema `sinodale', tra quelli ricavati dal dramma della pandemia, che appare decisamente dirompente. Là dove nella Carta di intenti sinodale si parla dell'urgenza del «recupero dell'aspettoescatologico della fede cristiana nell'aldilà edella speranza oltre la morte». Sembra quasi la ammissione da parte dei vescovi che la Chiesa italiana (certo non il Pontefice) non sia stata all'altezza del suo alto compito in un periodo decisivo della nostra epoca. L'italiano medio (è stato detto) ha vissuto male l'afonia pubblica e spirituale della Chiesa alta nell'emergenza sanitaria. Una Chiesa italiana che è parsa più preoccupata delle chiese chiuse dal potere politico, che capace di riflettere pubblicamente sui drammi che si stavano vivendo, sulle morti in solitudine e senza funerali, sulle bare accatastate, sul senso di eventi che hanno stravolto la vita umana, civile e quella ecclesiale. Per cui la comunicazione pubblica della fede è stata debole o pavida in questo dramma sociale e sanitario. Di qui il rischio che anche la Chiesa nel suo insieme contribuisca a rendere evanescente la dimensione escatologica del cristianesimo. Ecco un tema sinodale di grande rilievo....
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