Dalle difficoltà, segni di speranza - Una riflessione a margine del Sinodo


La maschera dell’attivismo      

In qualche misura questo tempo anomalo, se è vero che ci ha obbligati a fare i conti con un’esperienza fuori del comune, ha gettato una luce su preesistenti limiti e fragilità del tessuto ecclesiale, ma anche sulle potenzialità di un suo rinnovamento.

Il calo della partecipazione alla vita della comunità, che persiste tuttora in tante parrocchie, può essere letto ad esempio come segno di un legame debole fra le persone e la comunità ecclesiale, che non ha retto l’impatto di questa travagliata stagione.

Il sociologo Franco Garelli, che ha esaminato criticamente gli esiti di questa ricognizione ecclesiale, ha correttamente rilevato che l’attivismo di tante nostre realtà aveva mascherato questioni centrali come “il tipo di fede che viene proposta e trasmessa dalle nostre comunità, di quale rappresentazione di Dio venga veicolata dalla nostra presenza; vista la ’poca fede’ delle persone che prima frequentavano e ora sono disperse e il grande vuoto dei ragazzi e dei giovani nei nostri ambienti”.

Anche se, ed è ancora Garelli a segnalarlo, ci sono stati anche spunti interessanti che hanno riguardato in particolare nuove esperienze e nuovi stili di preghiera liturgica e comunitaria, le forme della comunicazione, il bisogno di gesti di accoglienza e di amicizia, la valorizzazione delle esperienze di fraternità e di solidarietà che si sono in molti luoghi realizzate.

La difficoltà di ripensare le forme ecclesiali          
La mia impressione è comunque che, in larga parte, le persone (laici, preti, diaconi, religiosi/e,) che si sono espresse, pensino al futuro della Chiesa mantenendosi dentro un modello che non si discosta da quello del recente passato. Le indicazioni di cambiamento (alcune anche molto apprezzabili), che sono state formulate, sono spesso, nella sostanza, integrazioni o correzioni dell’esistente, perché non si riesce a concepire, dall’interno, che le forme ecclesiali possano essere ripensate alla radice, riformate (e non semplicemente rinnovate), come dice papa Francesco in Evangelii Gaudium: quando si parla ad esempio del rapporto fra parrocchie e unità pastorali, e fra la base ecclesiale e il centro diocesi, o del ruolo dei diaconi, si individuano certamente dei problemi reali, ma a cui si danno risposte prevalentemente sul piano organizzativo e dell’efficienza, lasciando molto sullo sfondo la domanda su come la Chiesa debba ripensarsi in senso più evangelico nel leggere il tempo che abitiamo, nelle sue scelte, nello stile pastorale di ogni sua componente.

Segni di speranza dai margini  
Si deve però dar conto di altre voci che hanno dimostrato uno sguardo più aperto, un atteggiamento talora assai critico, ma anche capace di sottolineare istanze personali e collettive e suggerire nuove vie, con grande libertà.

È interessante notare che questi contributi siano pervenuti soprattutto (anche se non esclusivamente) dai gruppi definiti “non istituzionali”, cui partecipano anche persone ai margini della comunità ecclesiale, o dagli insegnanti di religione intervistati (che riportano la situazione problematica dei ragazzi e dei giovani, ma anche le loro attese e le loro disponibilità). In larga parte queste indicazioni sono state raccolte dalla Commissione assembleare, anche se i documenti finali (per la legittima necessità di contemperare voci fra loro non sempre omogenee) smarriscono parzialmente la forza e la nettezza con cui esse sono state espresse.

(da: "Una Chiesa fragile difronte al cammino sinodale" di Beppe Elia sul sito "Viandanti.org")

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