Non ci è concessa alcuna possibilità di spiritualizzazione: "Oggi" la Parola si "compie" nella misura nella quale abbiamo "orecchi" per intendere, cioè capacità di coinvolgerci nel processo di compimento di quella missione assegnata a Gesù dal Padre. A noi ascoltarle o solo il sentirle.
Oggi inizia un nuovo periodo nel cammino di sequela del Signore seguendo l’Evangelo di Luca nel quale la Liturgia ci accompagna quasi tenendoci per mano.
L’Avvento con quattro verbi ci aveva chiesto svegliarci e tenere sempre alta l’attenzione nella nostra realtà quotidiana cercando la giustizia nelle piccole cose del nostro quotidiano, perché il Signore, che è venuto, viene e verrà, ci avrebbe sorpreso. Così è stato e, nel periodo seguente, lo abbiamo accolto nell’evento annunciato ai pastori, nella stella dei magi, del suo Battesimo e lo abbiamo visto annunciare il suo ministero attraverso l’evento accaduto nelle Nozze di Cana.
Luca ci ha già sottolineato come la preghiera sia una caratteristica della sua vita e, come questa, sia un rapporto innanzitutto di ascolto del Padre entrando in rapporto con Lui.
Oggi insiste in questa direzione facendoci comprendere come la sua vera casa, le stanze che Gesù ha abitato “fin dall’infanzia” (2Tm 3,15), sono le pagine della Scrittura che lo hanno nutrito, allevato e fatto crescere, quasi una concretizzazione del versetto 26 del capitolo 16 del libro della Sapienza: “Non le diverse specie di frutti nutrono l’uomo, ma la tua parola tiene in vita coloro che credono in te”.
L’intento di Luca, in questa sezione del suo Evangelo, è quella di farci concentrare sull’identità del maestro di Nazareth, sulla quale tutti si interrogano ed inizia con un nome, quello di Gesù. Nome che non ritroveremo più all’inizio di un versetto, ma solo richiamato come il soggetto di tutto ciò che accade. Una serie di domande percorre questa sezione dell’Evangelo costantemente, con insistenza: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”, “Chi è costui?”. Fino a quando non sarà Gesù stesso a porre una domanda: “Ma, voi, chi dite che io sia?”.
Oggi lo troviamo a Nazareth dove è cresciuto, nella Galilea delle Genti, terra periferica e impura. È qui che Luca ce lo fa trovare a iniziare la sua missione, non a Gerusalemme, non nel Tempio o davanti a folle, ma in una umile sala di preghiera dove si riunivano i credenti per ascoltare la Scrittura e offrire il loro servizio liturgico al Signore. Luca continua così a sottolineare come sia nelle realtà semplici, nella quotidianità che è possibile cogliere ed accogliere la sua presenza. Anche nella semplice stanza della preghiera nel nostro cuore dove discernere la realtà alla luce dell’ascolto della Scrittura.
A Nazareth è sabato e, allora come oggi, nella liturgia si leggono due brani della Scrittura, uno preso dalla Torah e, l’altro normalmente fra i profeti. Gesù è stato scelto per leggere e commentare questo secondo. La pericope che tocca quel sabato è la famosa investitura profetica di Isaia (62,1-2) ma Luca vi inserisce anche un versetto di un altro capitolo (58,6): “rimandare in libertà gli oppressi” per sottolineare il tema della “libertà” che, in greco, è quello della “remissione dei peccati” e interrompe la citazione all’annuncio di “un giorno di vendetta del nostro Dio”.
Luca rilegge così, in chiave messianica, come il programma di vita assegnato a Gesù nel suo battesimo: mandato ad annunciare ai poveri, ai prigionieri e ai ciechi una gioiosa notizia caratterizzata dalla “libertà” (riavuta), grazie alla “remissione” dei peccati.
Gesù a questo punto assume la posizione del maestro: quella seduta e in quegli istanti di silenzio tutti gli occhi sono puntati su di lui in attesa del commento che pronuncerà e sarà brevissimo: “Oggi si è compiuta questa Scrittura – letteralmente e non è indifferente – nei vostri orecchi” e non come la traduzione liturgica fa leggere: “che voi avete ascoltato”.
Il racconto di Luca non è cronaca e probabilmente non è quello che Gesù ha detto, siamo davanti ad una narrazione teologica. Innanzitutto risuona con forza quell’ “Oggi” che, ieri come oggi, mette gli ascoltatori davanti all’evento di Gesù di Nazareth: la Parola ci riguarda nel nostro presente rendendo attuale quel “compiersi” al quale si raccorda strettamente. Significa che quella Scrittura detta un tempo lontano, diventa oggi fatto, evento “nei vostri - nei nostri - orecchi”, cioè nella nostra capacità di comprendere, di capire. Si compie nella misura nella quale abbiamo orecchi per intendere, capacità di coinvolgerci nel processo di compimento di quella missione assegnatagli dal Padre. A noi ascoltarle o solo il sentirle.
Gesù, Parola di Dio fatta carne, si così presentato a noi, non con parole proprie, ma con quelle della Scrittura dalle quali si è lasciato dire coinvolgendoci nella sua missione di “proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi”. Nessun protocollo da assolvere, né atto religioso da svolgere, ma il prenderci cura dei poveri in modo preveniente ed incondizionato. Le categorie dei prigionieri, dei ciechi, degli oppressi vogliono rappresentare tutte le condizioni sociali nella vita degli uomini, di ciascuno di noi. Quindi non ci è concessa alcuna possibilità di spiritualizzazione, c’è solo l’agire per ridare speranza, per dire agli smarriti di cuore: coraggio, per aiutare chi ha le mani fiaccate e le ginocchia vacillanti dalla fatica, dalla malattia, dalla violenza.
(BiGio)
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