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IV PA - Lc 4,21-30

A Luca è cara l'immagine di Gesù che “passa in mezzo” alle persone “facendo il bene” (At 10,38) causando entusiasmo ma anche rigetto, ieri come oggi, anche attraverso di noi, delle nostre Comunità, delle nostre Assemblee Liturgiche. Passa e va oltre, non si fa afferrare, ingabbiare da definizioni; al massimo si può toccare il lembo del suo mantello.


Può apparire strano quanto accade subito dopo che Gesù, consegnato all’inserviente il rotolo della Scrittura, mentregli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi su di lui”, ha proclamato: “Oggi si è compiuta questa scrittura ai vostri orecchi”. 

Se da una partetutti gli rendevano testimonianza (…) delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”, contemporaneamente, si accendono gli interrogativi e si stupiscono che, “il figlio di Giuseppe”, uno che conoscevano bene, possa aver annunciato che era giunta l’ora nella quale sarebbe stata data la libertà ai prigionieri e agli oppressi, i ciechi avrebbero recuperato la vista … da dove gli veniva l’autorità per affermarlo? Pensava di essere lui il Messia che attendevano? Ma quale tipo di Messia? Era possibile o si era montato la testa?

 

La settimana scorsa si è sottolineato che il verbo greco usato per “libertà” è quello che viene adoperato per la “remissione dei peccati”. Questo era un argomento attorno al quale diverse e anche contrapposte teologie, movimenti spirituali e/o politici presenti in quel tempo in Israele, si confrontavano anche duramente. Qual era l’origine del male e del peccato? cosa serviva per risolvere e cancellare le colpe? Le diverse risposte date a queste domande aprivano a prospettive discordi e divergenti sul tipo di Messia da attendere e verso quali soluzioni tra l’apocalittica, l’escatologia, i diversi messianismi o le diverse composizioni tra queste opzioni stava marciando la storia.

L’opzione di Luca è imperniata attorno alla misericordia: è una delle assi portanti che sostengono e attraversano l’intero suo Evangelo. Lo si deduce anche dal fatto che interrompe la citazione di Isaia letta da Gesù al punto nel quale si annuncia ilgiorno di vendetta del nostro Dio” (Is 61,2).

 

I presenti sono contrastati in loro stessi, divisi tra lo stupore e gli interrogativi. Indecisi se lasciarsi concretamente coinvolgere da quanto avevano ascoltato o chiudersi e ripiegarsi su ciò che già conoscono e che pensano di poter richiedere. 

Gesù chiede di seguirlo condividendo il suo agire, facendolo loro, nostro per poterlo conoscere. All’opposto cercano di tradurre il dono di Dio all’umanità, l’Emmanuele il Dio-con-noi, in un “Dio-solo-per-noi”, a nostro esclusivo vantaggio. Nessun dono può essere preteso senza essere vanificato, distrutto. 

La reazione provocatoria di Gesù allora è comprensibile. Lo è tanto di più se si tiene presente che in questa pagina Luca desidera delineare le grandi linee del suo ministero e della missione della Chiesa. In particolare di annunciare la volontà del Signore di aprire la via della salvezza non solo agli ebrei, ma anche alle genti come descriverà ampiamente nel libro degli Atti.

È per questo che Gesù propone come esempio la vedova di Sarepta ai tempi di Elia (1Re 17) e del siro Naaman ai tempi di Eliseo (2Re 5), due stranieri che beneficiarono della grazia di Dio a differenza dei loro contemporanei israeliti.

A questo punto, nei presenti monta l’opposizione e la rabbia di chi non può accettare che qualcuno prospetti loro la perdita di quello che ritenevano un loro esclusivo diritto in quanto “figli di Abramo” e aderenti al patto mosaico. Soprattutto se questo qualcuno era il figlio del falegname da tutti conosciuto, che dovrebbe essere uno di loro, la cui fama si era ampiamente diffusa e dal quale era logico attendersi conferma e rilancio delle loro attese, il ripetersi di quanto avevano sentito dire lui aveva fatto altrove, non il contrario, non la provocazione ascoltata.

Uno così a loro non serve e, per questo, cercano di spingerlo, fuori dalla città, sullo sperone montuoso e farlo precipitare giù. È una apparente sconfitta di Gesù, oggetto di un fallimento che desidera già farci intravedere quanto accadrà al compimento della sua vita: la passione-morte-e-risurrezione. Infatti, lui, che era giuntoin Galilea con la potenza dello Spirito Santo”, “passando in mezzo a loro, se ne andò”.

A Luca è cara questa immagine di Gesù chepassa in mezzoalle persone facendo il bene” (At 10,38) causando entusiasmo ma anche rigetto, ieri come oggi, anche attraverso di noi, delle nostre Comunità, delle nostre Assemblee Liturgiche. Passa e va oltre, non si fa afferrare, ingabbiare da definizioni; al massimo si può toccare il lembo del suo mantello.

 

Tutto questo si può rileggere con le lenti del cammino sinodale che papa Francesco ci chiede di fare, identificandosi nei diversi atteggiamenti descritti dall’Evangelo. Li possiamo verificare quotidianamente presenti in noi, facilmente ripiegati all’interno delle nostre Comunità, a volte pensando a quello che ci è dovuto piuttosto che a quello che potremmo – per quanto poco – offrire, anche solo declinando la nostra partecipazione non nel “mio io” ma nel “noi”. Cogliendo l’invito a guardare fuori della nostra cinta perché il Signorepassa e va facendo il beneanche altrove, ovunque, anche fra chi ci è “straniero” in ogni sua articolazione. Per questo dobbiamo pensare a una Chiesa meno fatta di gesti ieratici, e più della mescolanza nelle strade, nei luoghi di lavoro, di ritrovo, di vita umana palpitante, per essere capaci di scorgere il passaggio del Signore che semina la salvezza ovunque. Di contro, è necessario che la Chiesa, le Comunità, la nostra Comunità si immerga nella normalità dei gesti e delle parole del mondo, solo così sarà poi in grado di annunciare lo straordinario dell'opera del Signore che allora saprà riconoscere ovunque, senza pretendere che questa si manifesti solo per lei.

 (BiGio)

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