Come dice il Targum, «gli inizi sono sempre difficili»! Oggi l’evangelista Luca – sempre particolarmente attento al contesto storico in cui si svolge l’annunzio e la realizzazione della salvezza – ci offre due inizi. Se è vero che gli inizi sono difficili rimane pure – anzi più vero – che ogni inzio ha in sé una ricchezza del tutto particolare e racchiude, in potenza, tutto ciò che poi in seguito si realizza anche più faticosamente, ma non meno veramente.
Per questo dobbiamo leggere con attenzione i segni racchiusi negli inizi del cammino tra noi del Signore che si presenta sulla scena della storia e incontra il nostro particolare cammino di storia. Luca ci insegna che per prima cosa bisogna piegare la propria attenzione per cogliere quanto ci viene testimoniato dai «ministri della Parola» (Lc 4,2). Solo con questo apprendistato alla lettura e all’interpretazione, attraverso il contatto con la Scrittura e la testimonianza di fede di quanti ci hanno preceduti nel cammino, possiamo accogliere in modo forte la parola che il Verbo di Dio rivolge a ciascuno di noi nell’«oggi» (4,21) della sua storia, della sua condizione, della propria speranza e della propria disperazione. Ambrogio di Milano lo dice con forza in un testo assai significatvo: «Dissétati prima all’AnticoTestamento, per poter bere quindi dal Nuovo. Se non berrai al primo, non potrai bere al secondo. Bevi al primo per alleviare la tua sete, bevi al secondo per dissetarti appieno... Bevi l’uno e l’altro calice, quello dell’Antico e quello del Nuovo Testamento, perché in ambedue bevi Cristo» (Ambrogio di Milano, Commento sui salmi, 1, 33).
Se il Vangelo ci mette di fronte agli inizi della predicazione di Gesù, nella prima lettura troviamo il popolo intento a ravviare la propria relazione con Dio dopo la prova purificante dell’esilio in Babilonia. Se gli inizi sono difficili, re-iniziare - dopo un tempo segnato dalla prova e dall’approfondimento della fede temprata nel crogiolo della storia - può essere ancora più impegnativo. La vittoria del re Ciro (538 a.C.) segna la fine dell’esilio e inaugura il tempo difficile del ritorno da Babilonia. Per il popolo, non è facile riconoscersi tra quanti sono rimasti in terra di Palestina e quanti in terra d’esilio hanno fatto un percorso di apertura e di approfondimento, in particolare in relazione alla Tradizione dei Padri, che diventano sempre più Scrittura da leggere e da interpretare. Bisogna ormai tradurre in aramaico il testo ebraico perché molti hanno perso il contatto con la lingua antica. Leggere, tradurre e attualizzare il testo della Parola è il perenne lavoro della comunità dei credenti, è ciò a cui ogni pio Israelita viene iniziato fin dalla più tenera età ed è quanto il Signore Gesù fa come membro effettivo della comunità nella sinagoga di Nazareth.
Questo è pure il compito della Chiesa, ancora oggi e fino al ritorno del suo Signore: leggere e tradurre nel linguaggio della gente di oggi, a partire dalla sue gioie e dolori, speranze e angosce, per attualizzare il messaggio non in modo teorico, ma in modo esistenziale. Solo così sarà possibile per ciascuno trovare e amare il proprio posto nell’unico e ricchissimo «corpo» (1Cor 12,14) di Cristo che è la Chiesa, quale primizia di un’umanità che ritrovi continuamente la gioia degli inizi. Luca ama contemplare Gesù quale lettore e interprete delle Scritture, all’inizio del suo ministero come alla fine del suo cammino sulle strade della storia, quando si fa compagno di cammino verso Emmaus e apre la mente all’intelligenza delle Scritture nel Cenacolo. Oggi ancora il Signore apre il libro della sua presenza e ci dona la guarigione e la gioia. L’«oggi» dura ancora (Eb 3) e dipende anche da noi.
(Michael Davide Semeraro)
Nessun commento:
Posta un commento