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“Padre nostro che sei nei mari...”



Padre nostro che sei nei mari, 
chiunque tu sia, non dimenticare più, tra gli altri i Bambin Gesù che sono affogati e non nati a Natale. 

Noi intanto faremo la nostra parte. 
La faremo con le forze che ci restano e ne abbiamo ancora tante: 
basta solo non piangerli ma arrivare in tempo, non sopportare ma fare. 

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciotto, diciannove, venti, ventuno, ventidue, ventitré, ventiquattro, venticinque, ventisei, ventisette... 

Contiamo fino a 27, a voce alta, adagio, 
pensando, un morto alla volta, 
almeno impareremo a sentirli in noi non a distanza, 
(soprattutto ora che non possiamo più nemmeno scendere in piazza 
uno accanto all’altro per dimostrare e raccontare). 

Amare i bambini o a mare i bambini? 
Chiunque aveva un dubbio sul d’affarsi si ricreda, 
chiunque pensasse che le Ong non servono e che era finito l’esodo biblico ci ripensi, 
chiunque credesse che non potevamo accoglierne ancora si ravveda. 

Qualsiasi Europa sia o siamo, 
qualsiasi Italia o Grecia sia o siamo, 
soccorriamo, accorriamo, raccogliamo, occorriamo, 
non dubitiamo, non tergiversiamo, non rimandiamo, non dimentichiamo, non accettiamo. 

Altrimenti affonderemo anche noi 
nel mare dell’ineluttabile, 
dell’abitudine, della rassegnazione, 
e da lì nessuno ci potrà mai più aiutare a tornare a galla. 

Allora usciamo dal non possiamo fare più di così, 
dal non possiamo esser dappertutto: 
possiamo, dobbiamo, vogliamo, son tutti verbi che finiscono per amo. 

Padre nostro che sei nei mari, chiunque tu sia, 
non farci più pensare o dire solo, 
ogni volta che c’è una strage: 
“Amen, così sia”.

di Alessandro Bergonzoni
in “la Repubblica” del 31 dicembre 2021

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