La Conversione di Paolo: una definizione tradizionale errata, ambigua e che porta fuori strada

 Il 25 gennaio, nella tradizione cristiana, si ricorda la cosiddetta "Conversione di S. Paolo", una definizione che non ha basi bibliche perchè non viene mai chiamata così nei tre passi degli Atti degli Apostoli dove viene raccontata (2 volte da Paolo in prima persona). 


Nemmeno quando ne parla nelle sue lettere, mai Paolo la definisce una "conversione", ma una "rivelazione" e non certo una chiamata a diventare "cristiano". Non può essere così perché il "cristianesimo" ancora non esisteva e, Paolo, cambia semplicemente gruppo di ebrei: dall'essere membro del movimento dei farisei, passa ad aderire a un altro gruppo ebraico che seguiva gli insegnamenti di Gesù di Nazaret che, per semplicità, viene definito dagli storici, il movimento "Gesuano". In seguito, rileggendo la sua esperienza, la pensa come una chiamata, una "rivelazione" la definisce lui stesso negli Atti.

Nell'epoca del II Tempio (IV secolo AC - I secolo DC), tra gli aderenti alla religione ebraica, c'era una grande ricchezza di gruppi dalle spiritualità anche contrapposte e, tutti si confrontavano nel Tempio.

Paolo, come Gesù, era ed è rimasto sempre un ebreo osservante.

Molto chiara nel precisare questo aspetto la conferenza di Gabriele Boccaccini a questo link (la seconda di 6 lezioni su YouTube):

https://www.youtube.com/watch?v=qqcybhOgmOs


Gabriele Boccaccini, uno dei più noti studiosi del giudaismo del Secondo Tempio e delle origini cristiane. Formatosi alla scuola di Paolo Sacchi a Torino, dal 1992 insegna all'University of Michigan e, dal 2001, dirige l'Enoc Seminar da lui fondato.
A dicembre la Claudiana ha tradotto e pubblicato il suo ultimo libro "Le tre vie di salvezza di Paolo". Un lavoro prezioso di sintesi della ricerca sui movimenti teologici dell'ebraismo del II Tempio nelle quali affondano le proprie radici Gesù e Paolo che, l'autore, fa emergere con chiarezza.

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